Indietro

Quel giorno le macchine presero a circolare al contrario.
Interi stormi di rondini cambiarono la rotta migratoria; la notte occupò il posto del giorno e viceversa.
Persino le pragmatiche lancette degli orologi da parete o da polso variarono la natura per la quale erano state programmate.
Le donne concepivano pargoli pallidi, emaciati, dalle urla colleriche e successivamente rimanevano incinta.
Le lacrime rigavano il viso per poi tornarsene al loro posto, beffando l’indiscutibile logica della fisica.
Il corso dei fiumi faceva sì che questi se ne tornassero dal mare alla fonte; gli orgasmi esplodevano con anticipo rispetto ai rapporti sessuali, le sbronze salivano prima ancora d’aver assunto una qualsivoglia sostanza alcolica.
Pasqua godeva della sua celebrazione prima del Santo Natale, ed era come immaginarsi un Cristo schiodato, sceso dalla croce che, posata a terra la corona di spine, se ne tornava al caldo della culla ed al freddo della grotta.

Gli esseri viventi avevano persino imparato a morire prima di nascere, a pensare prima di agire, ad ascoltare prima di blaterare fandonie e ad amarsi prima di suggestionarsi con futili paranoie da quattro soldi, influenzate da almanacchi psicanalitici di dubbia morale.
Abele veniva assassinato per poi ricongiungersi al fratello Caino, Giovanna D’Arco arsa viva per poi profetare la sua parità intellettuale, e a Nerone una Roma in fiamme che non dilagava in alcun modo in incendio.
I risultati delle partite di calcio uscivano prima delle partite stesse; il caffè veniva gustato con espressione estatica e in seguito messo sul fornelletto a gas.
Le lettere venivano spedite e infine scritte, lette e successivamente consegnate.
L’arcobaleno disegnava in cielo uno splendido patto d’alleanza in anticipo sulla pioggia, e la pioggia ticchettava sull’asfalto e sui parabrezza delle auto parcheggiate prima ancora della multiforme genesi nebulosa.

Si camminava all’indietro; si studiava la storia del futuro e ci si interrogava su quella del passato, un passato che ancora doveva arrivare.
La punta rossa della sigaretta in combustione anticipava il bianco della cartina farcita di tabacco.
Veniva riscossa la pensione, poi ci si guadagnava lo stipendio sudando un sudore atipico, dal momento che, il normale sudore, avviene dopo lo sforzo e mai prima.
E poi si studiava, e poi si finiva con il giocare alle macchinine mugolando un simpatico “brum-brum”.
La gioventù, per via di questo ardimentoso processo al rovescio, era pressoché impossibile da rimpiangere. Non ci si sentiva dire “Ahhh… quand’ero giovane!”.
L’orchestra sul palcoscenico decodificava il pentagramma dando il via dall’ultima nota, i romanzieri scrivevano romanzi dall’epilogo, e così anche i registi.

Le truppe dichiararono il dietrofront, mossero un passo indietro anziché in avanti.
E indietro parabolarono i missili, verso le basi di partenza.
La concezione di guerra militare tornò ad essere l’idea d’un uomo malvagio.
L’idea tornò ad essere polvere di stelle e la panspermia niente più che un mero ricordo enciclopedico.
Quel giorno la guerra finì.
E fu finalmente pace.

Riccardo Bonsanto