Intervento sul voto della Casa delle donne di Ivrea

Care amiche,
specie quelle che pensano di non andare a votare perché non si sentono rappresentate o semplicemente perché ritengono che la politica non le riguardi, vorrei parlarvi di un panetto di burro. Di un qualcosa che tutte noi abbiamo acquistato o acquisteremo e delle
sue implicazioni ”politiche”.

Prescindendo dall’aumento contingente causato dalla guerra in atto e relative restrizioni, il nostro panetto richiama senza incertezze la materia prima, il latte.
Ossia l’allevamento intensivo delle mucche che, a parte la sofferenza loro inflitta per essere ammucchiate e immobilizzate con musiche di Vivaldi o Mozart nelle orecchie perché
pare stimolino la produzione di latte, richiede un abnorme consumo di energia.
Energia che rievoca la necessità e di fonti rinnovabili, sinora incerte e sporadiche, senza quel piano di interventi massivi, con foreste di pale eoliche e coperture voltaiche di tutti gli
edifici pubblici.
Da subito, con buona pace delle sovrintendenze paesaggistiche e architettoniche che nicchiano e pongono veti.
Ma paesaggio, ambiente, consumo del suolo, sono voci che richiedono pianificazione e “policies” integrate, compito, guarda caso, di chi viene eletto a livello nazionale e comunale.

Tornando al nostro panetto e alle mucche, che vorremmo allevate e contente in pascoli liberi, eccoci sul territorio con abitanti ormai concentrati in città, e con colline e montagne sempre più deserte.
Ed io, che sono particolarmente immaginifica, penso ai migranti, a quelle popolazioni obbligate ad abbandonare il proprio paese per guerre e carestie. Penso al modello Riace, moltiplicato e adottato da sindaci coraggiosi.

Comunque, forme di carestia e siccità ci sono vicini, grazie a un clima ingovernabile, mentre Tozzi e Mercalli sembrano parlare al vento e ritenuti uccelli del malaugurio.
I segnali della scienza rimossi non sono solo un problema culturale. Il territorio è un bene comune che richiede tutela, conservazione, manutenzione, pianificazione e controllo.

Pane burro e marmellata al posto delle più comode merendine? Perché no?
Sono scelte, stili di vita, che per realizzarsi esigono una sanità anch’essa proiettata sul territorio, dove la prevenzione primaria -educazione sanitaria- e secondaria, rappresentata dalla celerità delle visite specialistiche e diagnostica strumentale, siano una realtà amica.

Infine, il panetto di burro ricorda che non è solo cibo, è pure involucro, raccolta differenziata insomma.
Basta rifiuti abbandonati, cassonetti strabordanti e selvatici vaganti. Se non vogliamo gli inceneritori, chiedo in cambio soluzioni risolutive che non vedo nelle possibilità del singolo.

Occorre un cambio di passo progressivo e ampio che può produrre nuove occasioni lavoro.
Quel lavoro da cui donne e giovani sono orfani perenni e per il quale i sindacati dovrebbero dare aria al cervello, smettere di pensare ai tutelati e percorrere nuove vie.

Quante cose, tra loro interconnesse, riesce a rivelare il mio panetto di burro e, chiedo dunque, se non sono politica, cosa sono?
Ho una grande fiducia in noi donne, e so che le mie amiche andranno tutte a votare, non importa quale simbolo, perché non possono disconoscere un diritto acquisito, a partire dalle lotte delle suffragiste.
Con l’impegno però di parlare del panetto di burro alle incerte e alle indifferenti, perché nel cambio di passo le donne siano finalmente protagoniste e non succubi.

Ottavia Mermoz
per la Casa delle donne