“Io rispetto il ciclista” – Intervista a Paola Gianotti

Intervista a Paola Gianotti in sostegno alla campagna per la sicurezza stradale perché, come dice Paola, “cosa c’è di più bello che potersi spostare con il mezzo più antico al mondo, sentire l’aria sul viso, fare movimento e non spendere un euro?”

Il 30 novembre è stato investito da un camion il ciclista professionista Davide Rebellin. E’ una morte causata dalla violenza stradale. In questo caso è una morte che ha fatto notizia, ma la strage è continua. Già l’Istat ha stimato che i ciclisti deceduti, in seguito a incidenti stradali, sono uno ogni 35 ore; numeri confermati anche per il 2021 dall’ASAPS – Associazione Sostenitori e Amici Polizia Stradale. Sono dati impressionanti che testimoniano come l’Italia sia il paese meno attento a chi va in bici. Da anni Paola Gianotti e Marco Cavorso portano avanti una battaglia di buon senso: iorispettoilciclista. Stanno posando in tutti i Comuni italiani cartelli per il rispetto della distanza di un metro e mezzo nella fase di sorpasso.

Ettore: “Io rispetto il ciclista” è una campagna che stai facendo da almeno 8 anni insieme al campione di ciclismo Maurizio Fondriest e a Marco Cavorso, padre di Tommaso morto nel 2010 mentre andava in bicicletta. Avete posato più di 4500 cartelli stradali in tutta Italia per il rispetto della distanza di un metro e mezzo da tenere nel sorpasso. La scorsa settimana, dopo l’ennesima morte, quella del ciclista professionista Davide Rebellin, avete detto basta e avete scritto al Presidente della Repubblica, a quelli di Camera e Senato e alla Presidente del Consiglio. Cosa chiedete?

Paola: Chiediamo che venga subito approvata la legge del metro e mezzo da tenere in fase di sorpasso. E’ un primo passo importante, dato che questa legge è già presente in tutta Europa e che in Italia l’abbiamo continuamente e ripetutamente chiesta con mille azioni diverse ma che ancora non è stata approvata. La fase di sorpasso è una fase molto delicata e dove succedono tantissimi incidenti. In Spagna addirittura sono arrivati a portare il metro e mezzo a due metri di distanza in fase di sorpasso. Questo è anche il motivo per cui moltissime squadre di ciclismo professionistico vanno ad allenarsi in Spagna invece che rimanere in Italia.

Ettore: In una recente diretta sui social che avete fatto insieme tu e Marco Cavorso, proprio dopo la morte di Davide Rebellin, avete denunciato gravi inesattezze degli organi di stampa. Ad esempio dai giornali viene continuamente riportato un dato inesatto del numero di vittime o vengono usate espressioni come “strade killer” o “ucciso da un camion” negli articoli sulla violenza stradale. E’ un modo per confondere causa ed effetto, per deresponsabilizzare?

Paola: I media quando riportano le notizie soprattutto in caso di incidente deresponsabilizzano la persona che ha provocato l’incidente. Non esiste una strada killer o un camion impazzito. La strada e il camion non provocano gli incidenti, sono le persone che guidano che o sono distratte dal cellulare o non rispettano il codice stradale e provocano così gli incidenti. Questa comunicazione deresponsabilizza chi uccide e questo non è corretto. Ognuno deve prendersi la propria responsabilità soprattutto quando commette un omicidio stradale.

Ettore: In uno dei tuoi ultimi libri “In fuga controvento” ripercorri le tue imprese, sia sportive che d’impegno per l’ambiente e per la sicurezza stradale. Hai 56.830 km percorsi in tutto il mondo in bici, 4 Guinness World Record, hai donato biciclette alle donne ugandesi, hai pedalato in casa durante il lockdown per donare mascherine agli ospedali di Torino e Ivrea, pianti alberi con la campagna bike4tree. Insomma sei super. Ti abbiamo conosciuta e insieme stiamo costruendo strategie per valorizzare il Canavese e il Biellese. Conosciamo la tua generosità, ma sappiamo anche che non nascondi le difficoltà, le fragilità. Nel 2014 durante una delle tue imprese hai subito un grave incidente. Che momento è stato per te? Lo hai superato?

Paola: Il mio incidente fa parte della mia vita quotidianamente. Per mille motivi. Da quell’incidente è scaturita la mia voglia di lottare per cambiare la sicurezza del ciclista in Italia. Per me è stato un momento molto duro perché stavo realizzando il mio giro del mondo in bici ed un ragazzo al cellulare non si è accorto della mia presenza e mi ha travolto rompendomi la quinta vertebra cervicale. Ritornare in bici non è stato facile e la paura mi accompagna sempre ogni volta che esco su strada in particolar modo quando un camion o una macchina mi sfiorano a 90 chilometri all’ora per superarmi. E quando sono risalita in bici mi è capitato di avere qualche attacco di panico nelle mie imprese successive nei luoghi più trafficati del mondo. Ma allo stesso tempo quell’incidente mi ha insegnato che si può ripartire -se ti va bene come è andata a me- e che anche gli ostacoli più difficili possono essere affrontati. Io non volevo che nessuno portasse via il mio immenso sogno e quindi ho lottato per guarire, risalire in bici e terminare i 15.000km che mancavano per chiudere il mio giro del mondo in bici. Ne parlo nel mio libro, sia nel primo, “Sognando L’infinito” che in “In fuga controvento”. E ora in nome di quell’incidente voglio che l’Italia sia un Paese sicuro per pedalare e quindi mi batto ogni giorno per far si che possa diventare un Paese dove ognuno possa prendere la bicicletta in sicurezza.

Ettore: Tornando ai nostri comuni sforzi per promuovere l’area tra Ivrea e Biella, il cicloturismo, non solo qui da noi, ma in tutta Italia ha avuto nel 2022 una costante crescita. E’ una crescita che ci piace, che porta maggiore benessere alle persone e al pianeta. E’ un modo di vivere il viaggio con maggiore lentezza e attenzione ai luoghi che si attraversano. Eppure l’Italia è l’unico Paese europeo a non avere una normativa a tutela dei ciclisti e a non avere una rete seria di ciclabili. La mancanza di leggi e di strutture per il ciclismo e il cicloturismo quanto frena questo fenomeno che porta economia e ecologia?

Paola: Lo frena tantissimo. Io conosco centinaia di persone che abitano in Europa ma non vengono a pedalare in Italia perché è troppo pericoloso. E li capisco molto bene. Pensate che quest’inverno ho pedalato da Stoccolma a Milano per mettere a dimora molti alberi e da Stoccolma e, fino al confine con l’Italia, ho sempre pedalato su piste ciclabili. Mi ricordo che in una città in Germania si è avvicinata una coppia di ragazzi che mi ha suggerito di fare attenzione perché le loro strade sono pericolose per i ciclisti. Gli ho sorriso e li ho ringraziati pensando a quanto sono terribili le nostre strade in fatto di sicurezza. E ciò che maggiormente mi fa arrabbiare è che abbiamo uno dei Paesi più belli al mondo da visitare ma ci auto limitiamo da soli non progettando le strutture adeguate per permettere ai turisti e a noi italiani di godere della bellezza del nostro territorio.

Ettore: Sempre Marco ha raccontato, nella diretta di qualche giorno fa, che l’Olanda negli anni ‘70 era messa come noi adesso: numeri altissimi di vittime della violenza stradale. Si sviluppò allora un movimento che arrivò anche a blocchi stradali fatti dalle madri delle vittime. Vi fu poi una risposta delle istituzioni che cambiarono le leggi e modificarono la viabilità. Ora la situazione è ben diversa, come tutti quelli che sono stati in Olanda hanno potuto vedere, non c’è più il dominio delle macchine sulle strade. Cosa serve perché ci sia questo cambiamento anche in Italia? Credi che il paese della FIAT possa mettere in discussione le quattro ruote?

Paola: Serve sicuramente un cambio culturale oltre alle infrastrutture che permettono di pedalare in sicurezza. I cittadini devono capire quanto sia più lungimirante utilizzare la bicicletta soprattutto per i piccoli spostamenti invece della auto. Abbiamo anche un clima molto favorevole dove piove anche poco e le temperature non sono mai troppo rigide come invece accade in nord Europa e, quindi, l’uso della bicicletta dovrebbe essere scontato. Ma se non si è sicuri e il pedalare su strada diventa pericoloso si prende la macchina. E questo crea smog, nervosismo, code e tutta una serie di effetti negativi su chi guida e sull’ambiente. Invece cosa c’è di più bello che potersi spostare con il mezzo più antico al mondo, sentire l’aria sul viso, fare movimento e non spendere un euro?
Viva la bici ma soprattutto viva il rispetto per la vita.

Ettore: Paola come ognuno di noi può aiutarti in questa campagna?

Paola: Invitando il proprio comune ha mettere il cartello del rispetto del ciclista sulla strada. Scriveteci a [email protected] per avere tutte le indicazioni. Se anche solo un cartello può salvare una vita vuol dire che tutti insieme stiamo vincendo la fuga più importante.

Ettore Macchieraldo