“La parola è di nuovo il luogo da cui ripartire nelle scuole”

Scene e spaccati di vita quotidiana all’interno degli istituti del nostro territorio (e non solo). Come si restituisce la parola ai ragazzi nell’era di Instagram e del dominio dell’immagine e della fotografia?

Tutta l’attenzione altrove

Sonnolenza, pensieri accartocciati, ansia da efficienza (ho il proiettore? Terrà la batteria? Il libro, il quaderno con gli appunti, c’è tutto?), intorpidimento da quadrupla rampa di scale appena deambulante. Cinque minuti al suono della campana, il tempo per raccogliere concentrazione, forza, entusiasmo, trasporto.
Tutto scompare entrando in aula: la finestra è cornice, il quadro “splendidi monti di neve” (Dalla) in faccia a noi e alla consueta indifferenza. Il cielo è blu-mattino-d’inverno, l’aria uno schiaffo di gelo, solo luce e trasparenza. Le montagne invadono la stanza: maestose, sfacciate, bianche, abbacinanti.
Una poesia. La giornata assume un senso, come non stupirsi, illuminarsi, esultare, esaltarsi, immediatamente condividere!
«Ragazzi, avete visto che meraviglia?»
«…»
«No, dicevo, le montagne!»
«…»
«Non sono fantastiche?»
«…Ah, sì, prof»
«Uno spettacolo entusiasmante!»
«…»
Occhiate fulminee, per compiacere la romantica vegliarda, più che altro: in fondo le montagne stanno là, sempre, pure un po’ monotone, invece la vita corre veloce da un’altra parte.
Perciò, repentino, l’arco del collo butta gli occhi in basso, alla mano la cui protesi racchiude tutto il mondo, tutta l’attenzione del mondo.
Il quadro splendente resta lì, a farsi sprecare.

Più prese per tutti

Aula magna, presentazione delle liste per il Consiglio d’Istituto, ragazzini si salutano a voce alta, due si alzano per far posto all’amica, prof posso andare in bagno (e ci mancherebbe), prof posso spostarmi laggiù (com’è che chiedono permesso anche nelle loro assemblee, peraltro risibilmente piantonate dai professori?), prof ha segnato che sono arrivato in ritardo (sì!), pian piano il silenzio arriva.
C’è un gruppo che a occhio e croce prenderà pochissimi voti: i candidati parlano di impegno, discussioni, relazioni con lo Zac!, progetti insieme a Libera di Don Ciotti, aiuto reciproco, tutoring, corsi gratuiti. Zero chance. Non che propongano noia sofferenza e patimenti. Sono pure piacevoli e allegri, però parlano bene, troppo. E non ammiccano. Zero chance.
Gli altri, fra loro identici, si impegnano in un gioco di prestigio, vince chi spara più in alto, chi si fa ricordare, chi seduce, soprattutto se non fa il noioso con certo vecchiume che non rende (dagli adulti avranno pure mutuato qualcosa!).
Entriamo allora nel regno di Utopia, dove le deformazioni del sistema scolastico italiano emergono in tutta la loro vetustà per dar luogo a progetti alternativi.
Prima di tutto la tiepida zuppa di rito: più feste di istituto (all’americana, abiti eleganti, inviti e coppie), tornei d’istituto (scuola contro scuola, perché noi siamo i migliori!), felpe d’istituto (colorate e con il logo in bella vista, ma stavolta con cappuccio), foto d’istituto (quest’anno le vogliamo esterne e più belle, contatteremo altri fotografi).
In secundis, le cahier de doléances (carenza di carta igienica, distributori di bibite troppo cari, brevità degli intervalli, laboratori scadenti, peso eccessivo dei libri, richieste onerose degli insegnanti).
Infine, i due gruppi in lizza (ché l’altro è palesemente fuori gara) buttano sul tavolo i jolly, quelli per cui è proprio noi che dovete votare.
Qui la fantasia sbriglia le catene: si va dal registro elettronico alternativo perché quello attuale non ci piace e ne abbiamo trovato uno fichissimo (ma il registro non era orrenda roba da prof?) alla App sulla quale – novità, rivoluzione! – senza inibizioni dare addosso agli insegnanti; dagli armadietti all’americana con lucchetto annesso al cinema serale a scuola ché quello in città è banale; dall’ospitata di qualche dj famoso al corso di fotografia coordinato da un insegnante compiacente e controllante.
Il coupe de theatre arriva alla fine e ha il sapore dolciastro delle scemenze condivise: riempire le aule di prese, per i cellulari naturalmente – che saranno pure vietati ma chi rispetta le regole è vecchio –, tanto per affrontare la giornata con la giusta carica.
Alla fine saranno loro i più votati.
Quando si dice scuotere le fondamenta dell’istituzione.

Tornare a parlare

Abituare gli studenti a parlare, proprio nel senso di frasi con un’anima, soggetto verbo e complementi, principale subordinate e poche coordinate, ipotassi. Quella cosache non si fa più nell’era di instagram: scambi di fotografie, immagini mandate da un amico di un amico di un amico, storielle divertenti e brevi, emoji, battute fulminanti, frasi celebri di Oscar Wilde (amaro destino!), pezzi di pezzi di poesie.
Stanno crescendo senza parole, perciò dai, su, troviamo argomenti sui quali discutere, opinioni da esprimere, contenuti da sottoporre e da contrapporre.
A gruppi si decide, e non è strano che proprio in questi giorni uno dei temi scelti sia TAV sì / TAV no, pur sapendo che l’insegnante ha partecipato proprio due giorni fa alla manifestazione torinese contro il TAV, «ma non entrerò nel merito, l’essenziale è che sappiate organizzare e supportare le vostre idee».
«Anche lei prof? Pure mio padre era a Torino, c’era anche il padre di G.».
«Nooo, mio padre invece era a Torino a novembre, lui è a favore, e anch’io lo sono». Già discutono, ed è cosa buona e giusta.
C’è qualcosa di strano, però, un quadro storto, un conto che non torna.
Sarà un caso che in quello scambio di idee mancassero le madri, o che i figli non ne rivendicassero la presenza, come attrici di second’ordine?
E poi loro, i ragazzi, non avrebbero dovuto prendere e andare, magari lasciando i padri e le madri a casa o per fatti loro? Salire su un treno con gli amici, con i fidanzati, con una chitarra o un djembé, uno zaino, un sorriso, uno sberleffo, un’alzata di spalle ai genitori?
Com’è che il pensiero nemmeno parte – eppure Torino era strapiena di giovani! –, come si arriva ad accettare che siano l’insegnante, il padre, la madre, i vecchi, a buttarsi nella vita, a urlare gli slogan, a portare in piazza la parola?
La parola: di nuovo il luogo da cui partire.

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