Protesta femminista al Salone del libro, tra diritto al dissenso e democrazia.

Protesta del mondo femminista contro la ministra Roccella. 29 denunce, preoccupanti le reazione della politica, in Italia conflitto e dissenso non sono più ammessi

Edizione XIX del Salone del libro di Torino. Mentre all’esterno gruppi dei comitati ambientalisti contestano la presenza di Intesa SanPaolo ed Esselunga come partner del Salone, anche all’interno scoppia la protesta. Durante la presentazione del libro “Una famiglia radicale” della ministra Roccella, famosa per le posizioni antiabortiste e conservatrici, un gruppo di attivist3 del movimento femminista Non Una Di Meno interrompe l’evento con slogan, canti e dichiarazioni.
La protesta si inserisce all’interno della più ampia mobilitazione femminista piemontese a seguito delle scelte regionali in termini di libertà riproduttiva. Presente all’evento infatti anche Maurizio Marrone, assessore regionale in area FdI con delega alle politiche sociali. Dal suo arrivo in giunta nel 2020, subentrato dopo l’arresto del predecessore Roberto Rosso per voto di scambio con la ‘Ndrangheta, il giovane Marrone si è distinto tra le altre cose per una serie di politiche esplicitamente di area pro-vita: sospensione alla somministrazione della pillola abortiva nei consultori, nei quali ha fatto invece entrare le associazioni pro-vita, e l’istituzione del fondo “vita nascente”, da utilizzare per convincere a non abortire le donne che scelgono di non portare a termine la gravidanza perché prive dei mezzi economici necessari. A queste scelte hanno fatto prevedibilmente seguito svariate azioni da parte del mondo femminista, che a Torino vanta una forte presenza territoriale. Alla fine sarà Roccella ad andarsene senza poter presentare il libro, nonostante i tentativi di mediazione del direttore Lagioia, al quale la legittimazione della protesta costerà diversi attacchi feroci da parte di esponenti di Fdi.
Se si tiene conto del contesto regionale e dell’occasione fornita dalla presenza a un evento di portata nazionale della ministra della famiglia, che oggi rappresenta il maggior esponente dell’attacco ai diritti delle donne e della comunità LGBTQIA+, una protesta era tutto sommato prevedibile. Altrettanto prevedibilmente sono giunte rapide le reazioni di FdI, che nonostante oggi sia al potere non sembra in grado di percepirsi come tale, continuando da una parte a fare scelte volte a riaffermare esplicitamente il proprio dominio, dall’altra riassumendo immediatamente il ruolo di vittima quando sotto attacco.
In questo caso la scelta di definire la protesta “antidemocratica e violenta”, adducendo a motivazione che alla ministra sia stato sostanzialmente impedito di parlare, significa non tenere minimamente conto dei rapporti di potere.
Che l’Italia abbia un problema con il conflitto politico è cosa nota. Ma tacciare come antidemocratico un gruppo di attivist3 solo per aver portato avanti una protesta, rumorosa ma non certo violenta, così come pretendere l’instaurazione di un dialogo con la ministra è quanto di più antidemocratico si possa pensare.
Per la tendenza ad accomunare cose le più diverse tra loro, si considerano non solo gli attori presenti come paritari, come se un pugno di attivist3 avesse lo stesso potere mediatico di una ministra, ma addirittura come se gli eventi accadessero nel vuoto. Con quale ipocrisia un partito al potere prima attacca così ferocemente i diritti riproduttivi e i movimenti che li difendono, poi quando viene attaccato a sua volta, dal basso e fuori dei propri terreni di scontro prediletti, pretende confronto e dialogo, parandosi dietro una democrazia che non ha mai dimostrato di rispettare.

Bene hanno fatto l3 attivist3 a prendersi tutto lo spazio mediatico possibile, perché questo era l’obiettivo della protesta, anche se spesso tendiamo a dimenticarcene ritenendo che il valore di un’azione politica si calcoli in base all’approvazione che questa riceve, confondendo protesta e propaganda.
Bene ha fatto anche il direttore Lagioia a legittimarla questa protesta, dimostrando di avere un’idea di democrazia meno annacquata di quella dietro cui si barricano i partiti del potere, come il sindaco PD di Torino Lo Russo che ha preso immediatamente le difese della ministra. Se qualcosa si può recriminare al direttore del Salone, questa dovrebbe essere la scelta di invitare una ministra in carica a presentare il proprio libro.
Sullo sfondo della protesta femminista si svolge infatti un Salone del libro finalmente “conquistato” da quella destra che da sempre soffre di un forte complesso d’inferiorità, ossessionata da un’egemonia culturale fino a oggi in mano alla sinistra. La parte tragicomica di tutto ciò è che la sinistra questa egemonia l’ha persa da tempo, e anzi da anni non sembra fare più nemmeno molta resistenza. Se la destra ci ha messo così tanto a imporsi lo si deve sostanzialmente alla pochezza della cultura che porta come bandiera.
Giunta finalmente al potere e quasi priva di avversari, oggi la destra sceglie comunque di accanirsi contro i feticci di quell’intellettualismo, come dimostra l’attuale stravolgimento del palinsesto Rai. Una serie di mosse che però, più che riaffermarne il potere, sembrano quasi esporre le fragilità di un partito che ostenta sicurezza per nascondere le proprie mancanze.
Dopo la protesta 29 persone sono state denunciate, l’ipotesi di reato è violenza privata. Se fosse confermato, ci troveremmo davanti a un precedente preoccupante, dove un cittadino rischia 4 anni di carcere per aver contestato un esponente del governo. In particolare una ministra che da sempre si scaglia contro la libertà di scelta, dichiarando che l’obiezione di coscienza non rappresenta un ostacolo alle interruzioni volontarie di gravidanza, nonostante la media di medici obiettori negli ospedali superi il 60% con 30 strutture dove si registra il 100%.
Quando un’altissima carica dello Stato fa queste affermazioni, non siamo nemmeno più autorizzati a fischiare?

Lorenzo Zaccagnini