La storia si incontra ad Alpette

Sabato 10 ottobre ad Alpette a cura della locale amministrazione comunale, del Polo culturale, bibliotecario ed ecomuseo del rame, lavoro e Resistenza, e dell’Anpi è stata organizzata la giornata dedicata alla cultura e alla memoria.

La storia si incontra ad Alpette. Appunti e spunti sulle figure di Berlanda, Pecchioli, Pugno.

Federico Bellono, della segreteria della Cgil Torino, ha ricordato Emilio Pugno, operaio torinese, antifascista e partigiano, tra i licenziati per rappresaglia dalla Fiat nel 1955. Sindacalista e dirigente politico, segretario regionale della Cgil e deputato dal 1976 al 1983 per il PCI. Vi proponiamo il suo intervento.

Sono contento e onorato di essere qui oggi a parlare di Emilio Pugno, un gigante della storia del sindacato torinese, anzi per usare la definizione di un quotidiano torinese, “un sindacalista da antologia”.
Mi fa anche piacere parlarne qui ad Alpette, dove, al Sita, da militante prima della Fgci e poi del Pci, ho partecipato a tante riunioni e seminari, oltre al ricordo di tante feste dell’Unità e ad una singolare sezione del PCI i cui iscritti, per lo più ex partigiani e poi i loro figli, abitavano quasi tutti a Torino e lì si riunivano.
Emilio Pugno era nato nel 1922 ed è mancato nel 1995, quindi la sua vita attraversa una buona parte del 900, e partecipa da protagonista, in chiave soprattutto torinese, ai principali eventi che hanno scandito la cronaca sindacale e politica.
Non essendo io uno storico, credo che sia più utile da parte mia raccontare i passaggi che più mi hanno colpito, all’interno di un percorso di vita straordinario che può ancora fornire buoni spunti anche per il futuro. E ringrazio per questo il figlio Ruggero e la sua disponibilità a parlarne con grande generosità.
Intanto è bene sapere che quella di Pugno è una figura complessa, assolutamente centrale nelle vicende del sindacato e del Partito, ma meno ortodossa di quanto si potrebbe pensare, e a questo hanno sicuramente contribuito le esperienze giovanili: un antifascismo maturato anche nella frequentazione delle bande giovanili del suo quartiere – la zona di Piazza Barcellona – , dove le scazzottate con i giovani bene provenienti da piazza Rayneri, si connotano col passare del tempo come scontro tra giovani fascisti e antifascisti, a cui poi seguì l’esperienza delle Sap.
E poi il rapporto con alcune figure di operai portatori di idee anarchiche. Tanto che, già entrato alla Fiat Aeritalia prima della guerra, – la domanda alla scuola allievi Fiat risale alla fine del 1938 – assumerà presto responsabilità sindacali dentro la fabbrica – era un capopopolo naturale dirà di lui Giovanni Longo, altro autorevole dirigente sindacale e anch’esso operaio dell’Aeritalia – ma si iscriverà al PCI solo nel 1947.
Non a caso, per definirne l’appartenenza politica, lui stesso si è spesso definito “liberamente comunista”.
Questo tratto secondo me aiuta a comprendere la capacità di Pugno nel rifuggire i luoghi comuni, nel non accontentarsi delle spiegazioni burocratiche, soprattutto di fronte agli insuccessi, come capitò dopo la sconfitta della Fiom alle elezioni per la Commissione interna alla Fiat nel 1955. Capacità di riflettere, di ripartire sempre della realtà, dalla condizione di lavoro, e senza perdere tempo: non a caso già alla fine di quell’anno terribile la Fiom torinese pubblica i risultati di un questionario sulle condizioni di lavoro.
Non dimentichiamo che quelle vicende incisero nella carne viva di tanti lavoratori, a partire dallo stesso Emilio Pugno, che tra l’inizio degli anni 50 e il 1955 passò da un reparto confino all’Aeritalia ad un altro reparto confino, questa volta alla Fiat Lingotto, dove fu infine licenziato. Una tragedia individuale e collettiva, che forgiò una generazione di dirigenti politici e sindacali ma provocò anche tante sofferenze.
Ecco, se c’è un’altra convinzione che Emilio Pugno maturò anche in questa fase, e che ritorna poi in tutta la sua esperienza sindacale, è che di fronte ad un insuccesso non sono mai i lavoratori che non hanno capito, ma il gruppo dirigente del sindacato che non è stato in grado di capire la gente. Nella sua semplicità è una lezione buona anche per l’oggi, di fronte alla tentazione sempre presente di autoassolversi di fronte alle difficoltà.
Tra l’altro questo approccio non impedirà a Pugno di difendere scelte difficili, quando la situazione comincerà a cambiare, a partire dagli scioperi del 62 per il contratto, e dove ad un primo sciopero fallito ne seguirà un altro riuscito invece in modo straordinario, anche e soprattutto in Fiat, dove nel frattempo da una costola della Cisl era nato il Sida, il sindacato giallo di stretta osservanza aziendale: dopo il primo sciopero, Togliatti troncherà la discussione dicendo che “gli scioperi giusti sono quelli che riescono”. La stessa federazione del PCI polemizzò con la linea della Fiom e della Cgil torinesi, incarnata in quella fase da Sergio Garavini, arrivando a definirla “velleitaria, visionaria o perlomeno atipica”, accusata di “tendenze operaiste e anarcosindacaliste”. Eppure furono loro ad avere poi ragione. E questa dialettica sindacato – partito si ritrova in altri momenti della storia di Emilio Pugno.
Peraltro la fase successiva, che porta al biennio 68-69 delle lotte operaie e del movimento studentesco, vede Pugno segretario generale della Fiom di Torino dal 62 al 67 e poi dal 69 segretario generale prima della Camera del lavoro di Torino e poi della CGIL piemontese.
In questi anni prende corpo un’esperienza straordinaria che segnerà tutti gli anni 70 e che resta tuttora attualissima: ed è l’esperienza sull’ambiente di lavoro che nasce dall’incontro nel 1959 con un medico, Ivan Oddone, che avrà uno primo riconoscimento formale nel 1964 con l’istituzione della Commissione medica in CGIL da lui presieduta.
I famosi 4 fattori di rischio, contenuti in un opuscolo che nel tempo ha fatto scuola non solo a livello italiano, ha formato generazioni di delegati e dirigenti sindacali, e ha fortemente influenzato le lotte del decennio successivo.
E quella lezione nei suoi principi generali – la salute prima di tutto e non come oggetto di scambio – ci torna utile purtroppo in anni più recenti – pensiamo alla tragedia della Thyssen – e anche oggi, con l’impegno a contenere la diffusione del Covid nei luoghi di lavoro. Si ripropone la durezza dello scontro tra capitale e lavoro: incredibile è stata la linea di condotta di Confindustria nel chiedere la riapertura delle fabbriche anche nel pieno della pandemia, con i lavoratori costretti a scioperare per difendere un diritto primario come la salute!
L’ultimo tratto che voglio mettere in risalto dell’esperienza sindacale di Emilio Pugno, che si collega al tema della salute, è quello della condizione di lavoro, a partire dai tempi di lavoro e dal cottimo, parola in apparenza desueta che torna prepotentemente d’attualità: pensiamo al lavoro dei riders, o alle grandi multinazionali della logistica come Amazon. Anche in questo caso l’esperienza personale segna l’azione sindacale di Pugno, operaio professionale torinese, figlio di un operaio professionale, orgoglioso e che vive in modo traumatico l’esperienza del reparto confino, dove viene messo a saldare marmitte, e si sente deprivato nella sua professionalità. Eppure è tra quelli che riesce a rendere fecondo l’incontro con i giovani operai provenienti dal Sud impegnati sulle linee di montaggio, il cosiddetto “operaio massa”.
Mi hanno colpito nei suoi racconti la voglia di raccontare anche nel dettaglio come funzionava concretamente l’organizzazione del lavoro e come incideva nella condizione dei lavoratori, consapevole che da lì occorreva sempre partire.
Facendo un piccolo passo indietro, va ricordato che quella generazione uscita dalla guerra non si limitò a progettare e a costruire il prototipo di un’autovettura – la celebre vetturetta – ma un gruppo di operai e tecnici dell’Aeritalia, nell’ambito della campagna chiamata Ala di Pace, progettò e costruì fuori orario di lavoro in un capannone della Mandelli, un prototipo di aereo civile che venne portato in corteo il 1^ maggio del 1952. “Sembravamo i battagliero del Volga – disse Emilio – perché portare dietro questo uccellaccio, dall’Aeritalia, tutto corso Vittorio, per sfilare in via Roma e poi portarlo al parco Michelotti fu una fatica immensa.”
Pugno ha poi fatto il parlamentare, dal 76 all’83, e dopo avrebbe voluto tornare all’attività sindacale, in Fiat in modo particolare: non gli è stato concesso. Eppure la sua presenza – forse considerata ingombrante – sarebbe stata preziosa, soprattutto dopo la sconfitta dell’80 troppo presto rimossa da buona parte del sindacato.
Da parlamentare fu protagonista di un battibecco con un onorevole missino che dà l’idea di quanto l’antifascismo fosse un tratto fondante della sua militanza e della sua identità: di fronte al deputato neofascista che lamentava il fatto che uno squallido individuo lo stava insultando, rispose al richiamo del Presidente di turno della seduta della Camera: “L’ho solo onorato dandogli dello stronzo”.
Oltre all’antifascismo c’è anche molto altro che lega Emilio Pugno a questo territorio: ci sono molte belle fotografie che lo ritraggono, soprattutto nella zona di Forno, durante comizi improvvisati, impegnato nella raccolta delle firme per le liste della Fiom, andando casa per casa a convincere i lavoratori, e i rispettivi coniugi, in una fase potenzialmente esiziale per l’organizzazione: Destefanis, altro dirigente sindacale dell’epoca, parlò poi del rischio di estinzione di una Fiom che, soprattutto in Fiat, si trovava sostanzialmente in clandestinità. Una situazione drammatica che pure, in forme un po’ diverse, si è riproposta in anni più recenti.
Insomma se noi siamo qui oggi lo dobbiamo anche a uomini e donne come Emilio Pugno, persone semplici eppure straordinarie, che con il loro impegno, la loro coerenza e anche i loro sacrifici – commovente è il racconto di Emilio che preannuncia alla moglie Cornelia lo sciopero e il suo probabile licenziamento – hanno testimoniato che ci si può rialzare anche dalle sconfitte più atroci, se si è in grado di guardarsi dentro e ripartire dai problemi concreti delle persone.
E penso che mai come oggi, in un mondo del lavoro profondamente cambiato ma non meno complicato e pieno di problemi, abbiamo bisogno di ricordare e raccontare vite così straordinarie.

Federico Bellono