La supercazzola del progetto “ICO Valley” trova unanimi consensi nell’establishment locale disposto ormai a seguire qualsiasi pifferaio

L’iniziativa della senatrice Tiraboschi che cerca di appropriarsi della “eredità olivettiana” arriva in un territorio frastornato e con una classe dirigente incapace di valorizzare la storia e la cultura della comunità eporediese e di “Ivrea città industriale del XX Secolo”

Come aveva fatto il Consiglio Comunale eporediese il 29 luglio scorso, anche il Consiglio Metropolitano di Torino, all’unanimità, mercoledì scorso ha aderito ufficialmente al “Comitato ICO VALLEY – Human Digital Hub”, il progetto di riutilizzo di alcuni spazi olivettiani, lanciato dalla senatrice Virginia Tiraboschi (eletta nel 2018 per Forza Italia nel collegio di Settimo-Ivrea-Chivasso), che è stato presentato il mese scorso (il 10 luglio) nella sala conferenze di Palazzo Uffici 1, in via Jervis al civico 77 (indirizzo peraltro indicato quale sede del comitato stesso).
Un progetto che necessiterebbe di circa duecento milioni di euro e che, ribadisce nelle interviste la parlamentare ideatrice, «è un’operazione del tutto privata» con la quale rinasceranno “gli spazi della sede storica Olivetti di Ivrea” e si coniugherà “la più nobile storia industriale italiana con il futuro digitale del Paese”, come si legge nei titoli del comunicato dell’evento del 10 luglio.

Più che di una presentazione, infatti, si è trattato di un evento che ha riscosso una notevole attenzione mediatica per effetto della partecipazione di Alessandro Busci (Fund Management Director di PRELIOS SGR, gestore del Fondo Anastasia, proprietario degli immobili) e di Giovanni Ronca (presidente di Olivetti, Gruppo TIM), dell’intervento in video di Fabio Vaccarono (Ceo di Google Italy che ha espresso simpatia per il progetto) e della disponibilità espressa da Regione Piemonte e Politecnico di Torino, oltre, ovviamente, alla senatrice Tiraboschi, agli imprenditori e manager coinvolti, a Confindustria Canavese, Sindaco di Ivrea e rappresentante della Città Metropolitana di Torino.

Attenzione mediatica che, per lo più (a chi scrive risulta che solo il giornale locale La Voce abbia dato spazio a qualche lettura critica), si è però limitata a cercare di riportare quanto espresso dall’ideatrice del progetto e dal comunicato stampa a conclusione dell’evento.
Vero è che risulta oggettivamente difficile riassumere la molteplicità di funzioni e attività che il progetto si propone di realizzare: dalla Accademia Digitale Nazionale alla Esposizione-Fiera Made In Italy, dalla Logistica-E-Comm. Made In Italy al Turismo-Eventi e Web Booking, dalla TV/Web Mktg del Made In Italy alla Formazione-Startup Artigiani/PMI. E non è facile trovare un senso compiuto al florilegio di termini inglesi e di gergo tecnico o finanziario (Smart and Digital Community, sharing, Mktg, impact investing, hospitality, National Digital Accademy, Human Digital Lab, Big Data, Internet of Things, cloud, blockchain, steering committee, hub, slot, digital skills,…) che inondano i documenti e i comunicati del comitato, insieme agli immancabili richiami alla “gloriosa storia Olivetti”, a “Ivrea quale città industriale del XX secolo patrimonio dell’umanità” e al Canavese “unicum ambientale per qualità di vita e servizi, in cui il concetto di comunità tanto caro a Adriano Olivetti rivive in termini contemporanei grazie alle tecnologie di quinta generazione”.
Qualcosa si capisce sfogliando il progetto di revamping degli edifici Olivetti, sede iconica del primo Human Digital Hub italiano”, cioè, più prosaicamente, il progetto di rimessa a nuovo e uso diverso di Palazzo Uffici. Il documento, firmato dal Consorzio Insediamenti Produttivi e da AExP Group e presentato all’evento del 10 luglio da Alberta Pasquero, immagina una destinazione dei diversi piani dell’edificio di questo tipo:
al 6° piano oggi Start Up e domani Work Hospitality e Biblioteca Digitale;
al 5° Area Servizi, Esposizione Prodotti Locali ed Eccellenze del Made in Italy, Coffee, Bistrot, Restaurant;
al 4° Spazi Condivisi, Hub, Slot;
al 3° Spazio Comdata (che già lo occupa);
al 2° Hub, Community, Slot, Laboratori;
al 1° Uffici Governance Hub, Uffici Gestione Hub, Sviluppo Piattaforme Digitali, Expo Permanente;
al piano terra Reception, Formazione Digital Academy, Meeting Expo.
Un intervento che, tolto il terzo piano utilizzato da Comdata, riguarderebbe complessivamente i restanti 24.320 metri quadri, con investimenti iniziali previsti (peraltro tutti “pubblico e privato + altri da definire”) di oltre un centinaio di milioni e almeno altrettanti per i primi anni di avvio.
Ora la senatrice Tiraboschi annuncia che già a metà del mese prossimo sarà presentato un “piano industriale”e, se i fatti seguiranno gli annunci, forse si potrà capire qualcosa di più di un progetto che, al momento, appare francamente poco più di una suggestione. Peraltro trasfigurante la storia e la cultura della comunità eporediese e di “Ivrea città industriale del XX Secolo”.
Eppure sono in tanti a essere stati suggestionati: alcuni motivatamente, altri meno.
Non stupisce, infatti, che la proprietà degli immobili Olivetti saluti con favore l’utilizzo degli stessi che, vuoti, rappresentano esclusivamente un costo. Né stupisce la disponibilità di studi professionali che di redazione di progetti vivono, né il fervore del Sindaco di Ivrea e della sua maggioranza che di un’operazione della senatrice Tiraboschi sono il prodotto. Si può comprendere anche l’interesse del Politecnico alle prese ora con la necessità di spazi e sempre interessato a stringere relazioni con grandi gruppi privati (qual è Tim) e persino quello di Confindustria che, come è noto, è sempre stata “poco olivettiana” (come per nulla “confindustriale” era Adriano Olivetti) e, forse inconsciamente, è allettata dalla trasformazione della lettura dell’acronimo ICO: da “Ing. Camillo Olivetti” (quell’insopportabile imprenditore socialista!) al più innocuo “Ivrea, Canavese, Olivetti” proposto dal progetto ICO Valley. Confindustria che, mentre in questi giorni sbraita contro il blocco dei licenziamenti, è come sempre in prima fila quando vengono sventolati progetti che prevedono finanziamenti pubblici milionari.
Ma se tutto questo è comprensibile, e in qualche caso addirittura scontato, molto meno lo è l’unanimismo del “mondo politico” che accompagna questo “progetto”.
Passi ancora per il PD che non si tira mai indietro pur di mostrare la propria vicinanza al “mondo imprenditoriale”, tanto più se nel progetto è direttamente coinvolta la sua storicamente più influente esponente locale, Alberta Pasquero. E poco importa che, sia un alleato della coalizione elettorale comunale (Articolo Uno), sia entrambi i due ultimi ex sindaci PD di Ivrea, Grijuela e Della Pepa, esprimano dubbi e scetticismo sull’operazione di Virginia Tiraboschi: sia a Ivrea che a Torino tutti i consiglieri PD compatti a votare l’adesione al “comitato ICO Valley”.
Non si spiega affatto, invece, l’adesione dei 5 Stelle. E’ vero che il “popolo pentastellato” è sempre stato affascinato dalle “proprietà salvifiche” delle tecnologie e che sarà un loro consigliere, Dimitri De Vita, a rappresentare la Città Metropolitana di Torino nel “Comitato ICO Valley”, ma non si può non vedere come questo progetto della forzaitaliota Tiraboschi tenda, tra l’altro, ad impossessarsi, annacquandola, della “eredità olivettiana” tanto pervicacemente rivendicata da Casaleggio con i convegni annuali nell’Officina H di Ivrea (SUM #01, #02, #03).
Del tutto incomprensibile è apparso poi, sul piano prettamente comunale, il voto favorevole di Comotto (Viviamo Ivrea) dopo un intervento che avanzava dubbi sul percorso dell’adesione del Comune e lasciava immaginare quanto meno un’astensione.
Se il “mondo politico” è unanime, quello “sociale” e culturale resta per ora silenzioso.
Complice probabilmente l’estate e gli strascichi della chiusura per la pandemia, nessuna riflessione sul progetto arriva dalle organizzazioni sindacali dei lavoratori (peraltro da sempre messi a parole al centro della retorica olivettiana, ma mai neppure interpellati), né da quanti hanno sempre sostenuto che la definizione di “patrimonio dell’umanità” assegnata dall’Unesco è soprattutto culturale, di un’idea industriale e sociale che non si basa solo sugli edifici.

Forse, tra qualche tempo, di questo fantasmagorico progetto resterà qualcosa nell’edificio di Palazzo Uffici oppure sarà soltanto oggetto di battute sulla disponibilità eporediese a seguire qualsiasi pifferaio (è già successo vent’anni fa con il più modesto progetto Mediapolis, anch’esso basato sulla “centralità”, di Albiano in quel caso, “sugli assi autostradali tra Milano, Torino, la Svizzera e la Francia”).
Di fatto, però, qualche risultato l’iniziativa della senatrice Tiraboschi l’ha già ottenuto: ha concentrato l’attenzione sul suo progetto rispetto a quello più concreto perseguito (con proprie risorse) dalla società Icona attraverso l’acquisto della “Fabbrica di mattoni rossi” e di parte della ICO, mentre copre l’inerzia dell’amministrazione comunale rispetto alla valorizzazione della città quale sito Unesco (a due anni dalla nomina, solo recentemente è stata definita la sede alla “portineria del pino” del centro visitatori, ancora non aperto). E, incredibile ma vero, tra i tanti pretendenti della “eredità olivettiana” ora arriva a piazzarsi anche la luganese-eporediese senatrice di Forza Italia.
Chissà cosa ne penserebbe Adriano? E cosa farebbe Camillo?
Ovviamente non possiamo saperlo. Certamente però si potrebbe cominciare a capire cosa ne pensa la comunità eporediese, se e quanto concorda con i suoi rappresentanti nelle istituzioni.
ƒz

N.B. Wikipedia: Il termine supercàzzola è un neologismo (entrato nell’uso comune dal cinema) metasemantico, che indica un nonsenso, una frase priva di senso logico composta da un insieme casuale di parole reali e inesistenti, esposta in modo ingannevolmente forbito e sicuro a interlocutori che, pur non capendo, alla fine la accettano come corretta. Il termine è utilizzato per indicare chi parla senza dire nulla. Nel 2015 la definizione di supercazzola è stata inserita nel vocabolario Zingarelli.