L’autonomia differenziata è la morte del servizio sanitario nazionale.

Mentre il presidente della Regione Piemonte, Alberto Cirio dichiare orgoglioso che “la medicina territoriale del Piemonte tra le migliori d’Italia”, la realtà riflette un quadro molto diverso e con l’autonomia differenziata potremmo dire addio al sistema sanitario nazionale unico e universale.

Ci potremmo chiedere dove vivano presidente e assessore alla sanità piemontesi, certo non in Piemonte ascoltando le loro affermazioni: “la medicina territoriale del Piemonte tra le migliori d’Italia. (…) il Piemonte è riuscito a soddisfare i criteri di equità, efficacia e appropriatezza nel somministrare ai cittadini cure e prestazioni che rientrano nei livelli essenziali di assistenza.” Delle due, anzi tre, una: o i livelli essenziali di assistenza sono infimi o il livello delle altre regioni è pessimo oppure semplicemente si fa propaganda invece che informazione.

La debolezza dei servizi sanitari territoriali è palese, ma evidentemente tutto dipende da parametri e da come vengono usati i dati.

Gli ospedali sono in profonda crisi per la grave, ormai cronica, carenza di personale sanitario, medici inclusi. Le condizioni di lavoro dei lavoratori della sanità sono inaccettabili: turni massacranti, retribuzioni inadeguate, strutture spesso fatiscenti. Aggrava la situazione la mancanza di un servizio territoriale e domiciliare che dovrebbe alleggerire gli ospedali di tutti quei servizi che possono essere svolti appunto sul territorio e anche direttamente nelle case degli utenti.

L’autonomia differenziata: la morte del servizio sanitario nazionale

In questo contesto arriva come una mannaia l’autonomia differenziata che darà un colpo definitivo al sistema sanitario nazionale, dividendo il paese – e non solo in materia sanitaria – fra regioni ricche e regioni povere in barba all’articolo 2 della Costituzione Repubblicana che recita “La Repubblica riconosce e garantisce i diritti inviolabili dell’uomo, sia come singolo, sia nelle formazioni sociali ove si svolge la sua personalità, e richiede l’adempimento dei doveri inderogabili di solidarietà politica, economica e sociale.”

La dichiarazione dei comitati contro ogni autonomia differenziata

L’approvazione il 2 febbraio scorso da parte del Consiglio dei ministri del DDL sull’Autonomia differenziata segna un salto di qualità concreto mai visto sulla strada della divisione del Paese, della rimessa in causa dei diritti universali uguali per tutti e tutte, dell’esistenza della Repubblica per come è uscita dalla Liberazione e per come è definita nei principi fondamentali della Costituzione.
Dopo anni di discussioni, ipotesi, pre-intese, progetti messi avanti ma mai realizzati, siamo ora di fronte ad un’accelerazione che pone tutte le forze politiche e sindacali che hanno a cuore l’unità della Repubblica e la difesa dei valori costituzionali di fronte ad una nuova responsabilità.
La Meloni e Fratelli d’Italia – la forza politica che, a partire dal suo stesso nome, basa la propria esistenza e il proprio programma su precise rivendicazioni di carattere nazionalistico – hanno abbassato la testa e, pur di mantenere integri gli equilibri del Governo e procedere, con tutti gli alleati, verso il proprio progetto di presidenzialismo – hanno consentito al passaggio del ddl Calderoli, tenendo così fede allo scambio concordato in campagna elettorale.
Da parte sua, il ministro Calderoli ha portato avanti una questione delicatissima – che riguarda l’attribuzione della potestà legislativa esclusiva alle regioni su ben 23 materie, e quindi la violazione palese del principio di uguaglianza tra cittadine e cittadini di questo Paese sulla base del certificato di residenza, e quindi l’aumento esponenziale delle diseguaglianze. Fratelli d’Italia, la Lega, Forza Italia, per calcoli politici elettoralistici e per convinzione, hanno dunque oggi detto chiaramente che intendono andare fino in fondo.  E questo governo osa approvare il DDL proprio mentre nel Paese, finalmente, le voci si levano contro l’AD, la gente comincia a prendere coscienza del pericolo – anche se in modo ancora insufficiente – mentre diversi costituzionalisti, esponenti del mondo dell’economia, della cultura, della scienza, dell’arte, del giornalismo lanciano l’allarme. Benché possa contare sui voti della maggioranza, questo scellerato progetto può essere fermato, ma non certo solo in Parlamento: solo una mobilitazione di massa, che porti in piazza centinaia di migliaia di cittadine e cittadini, può imporre il ritiro di questo DDL, lo stop al governo. Noi che fin dal 2019 abbiamo lanciato l’allarme, ribadiamo con forza ciò che ci ha portato ad unirci a tante forze associative, politiche e sindacali nel Tavolo NOAD: è responsabilità delle organizzazioni sindacali e politiche, ognuno per la forza che ha e può mettere in campo, unirsi e organizzare questa mobilitazione, fare di tutto per il ritiro del DDL, prima che sia troppo tardi. Noi ci appelliamo a tutti e tutte: il dibattito che finalmente si è aperto nel Paese crea le condizioni per costruire questa mobilitazione, ma non c’è un minuto da perdere: uniamoci per costruirla, organizziamoci affinché sia la più forte possibile!

Comitati per il ritiro di ogni Autonomia differenziata, 2 febbraio 2023

Unione Popolare contro la diseguaglianza istituzionale

Le diseguaglianze regionali aumenteranno e il divario tra nord e sud sarà sancito per legge. Siamo arrivati a questo punto dopo la disgraziata modifica del Titolo V della Costituzione nel 2001 del governo di centro-sinistra a guida Giuliano Amato, e dopo l’approvazione di PD e M5S dei referendum di Lombardia e Veneto, con l’indegna alleanza tra Zaia, Fontana e Bonaccini.
In sostanza ogni Regione farà da sé, partendo dal fatto che quelle del nord ricevono la quota maggiore del Fondo Sanitario Nazionale e sono favorite dalla mobilità sanitaria dal sud: senza quest’ultima avrebbero bilanci in rosso. I dubbiosi e gli oppositori dell’ultima ora vengono rassicurati: l’equità sarebbe garantita dai LEP (livelli essenziali delle prestazioni), cioè il minimo indispensabile di diritti socio-sanitari che spetterebbero ad ogni cittadino/a. Si dà il caso però che la definizione di questi livelli sia ambigua, incostituzionale e totalmente priva della previsione di risorse. Quindi una scatola vuota, si pensi che i Livelli Essenziali di Assistenza (LEA) introdotti nel 2001 con la stessa intenzione non hanno sanato le diseguaglianze.
Se nasci nel posto “sbagliato” ti becchi il minimo (e non è detto) di asili nido, scuola, sanità, servizi sociali, assistenza. Anche il minimo di aspettativa di vita. Se nasci nel posto “giusto” invece avrai più scuola, strade, ferrovie, ospedali. L’eccellenza (possibilmente privata).
Il Presidente della Giunta piemontese è entusiasta. Il Governo nazionale, che lui appoggia, diminuisce le risorse per la salute, il declino dei servizi è lampante, i pronto soccorso esplodono, medici e infermieri sono sotto pressione, le liste d’attesa infinite, ma Cirio vede la luce nell’Autonomia.
Il motivo c’è: andare oltre, indisturbato e con pieni poteri, l’attuale privatizzazione strisciante. Bilanci insufficienti e carenza di personale spingono ad affidare servizi a chi li produce a prezzi inferiori a scapito dei lavoratori (pagati meno) e della qualità del servizio. Il sud alla deriva, il nord in mano ai privati.

La legge è ancora ai primi passi, ma correrà veloce, occorre informare e mobilitarsi per fermarla a partire dai territori. Nell prossime settimane organizzeremo volantinaggi e iniziative per informare sui contenuti e conseguenze dell’autonomia differenziata.

Unione Popolare Ivrea e Canavese