Lavoro Ivrea: sottoccupazione e ammortizzatori sociali

In un paese che mescola contrasto alla povertà e politiche attive per il lavoro (leggi “reddito di cittadinanza”), dopo anni di erosione dei diritti del lavoro e diffusione della preacarietà, le maggiori realtà imprenditoriali del nostro territorio non possono che galleggiare, tenendo ben alta la testa per non affogare.

Ben consapevoli che una buona controinformazione dovrebbe scovare e parlare anche delle situazioni “virtuose”, delle realtà imprenditoriali che praticano l’innovazione non solo tecnologica ma anche sociale, ci viene d’istinto di parlare per prima delle situazioni critiche, non per crogiolarsi nel vittimismo e nell’esercizio della lamentela gratuita, ma per cercare di smuovere, animi e corpi. Il punto della situazione di alcune aziende in crisi nell’Eporediese.

Cara azienda come stai?

Comdata

Partiamo da Comdata, ultima azienda di Ivrea in ordine di tempo in cui la crisi è esplosa. Non che i prodromi non ci fossero, soprattutto dalle altre sedi (Pozzuoli che chiude, Padova quasi, ammortizzatori sociali in altre, delocalizzazioni, …), ma anche a Ivrea gli scricchiolii di una crisi si sentono da tempo. Nel 2018 parte il primo importante ricorso agli ammortizzatori sociali (FIS) che naturalmente non può da solo risolvere la situazione, così a fine 2018 l’azienda annuncia 200 esuberi su 1034 dipendenti. La trattativa sindacale, supportata da una buona mobilitazione dei lavoratori (considerati i tempi e l’azienda), ha portato però alla “condivisione del danno”, certo non fra azienda e lavoratori, ma tra i lavoratori, con l’avvio dei contratti di solidarietà per 894 dipendenti dal 28 gennaio fino al 27 luglio di quest’anno. Abbiamo chiesto alle Rsu quali prospettive vedono per il loro futuro occupazionale: “In questi 6 mesi dovrebbero arrivare nuove commesse anche se diventa molto complicato con le clausole sociali che, fortunatamente, obbligano l’azienda nel caso di vincita di un gara all’assorbimento dei lavoratori occupati in quella commessa.“. E’ il tema della coperta corta: il lavoro è quello, l’indice di crescita è molto basso, quindi quando si vince una gara semplicemente di sposta il lavoro da una città/azienda ad un’altra. Abbiamo chiesto anche una valutazione delle criticità: “il settore delle telecomunicazioni è particolarmente in difficoltà in quanto oltre ai 10 anni di crisi che subiamo, si aggiunge il costo del lavoro: oltre l’80% è costo legato al lavoratore e per contro le aziende delle TLC non hanno un prodotto che viene rivenduto con i dovuti ricarichi, produciamo “servizi” … E i grandi committenti, Tim in primis, hanno un totale disinteresse sulla qualità dei servizi per il cliente finale… conta molto di più la “quantità”, ergo molto stress dell’operatore del call center“.

Arca Technologies

Arca è un caso enigmatico. Qui i prodotti ci sono, ci sono le competenza, il radicamento, i clienti, sono quelli della storica Cts passata nelle mani degli statunitensi di Arca Technologies nel 2014, eppure il virus dell’incapacità imprenditoriale colpisce anche questa realtà. Nel 2018 i vertici aziendali annunciano ad inizio aprile di voler licenziare 102 dipendenti su 270 totali delle sedi dell’eporediese (Ivrea e Bollengo). Fulmine a cielo quasi sereno … però l’azienda applica il contratto metalmeccanico, notazione non da poco, perché metalmeccanico vuole dire “FIOM” che a sua volta vuol dire: “lotta sindacale“. Ed è proprio grazie alla immediata reazione dei lavoratori che si sono fatti sentire e vedere nelle piazze e presso le istituzioni, che quei licenziamenti sono stati trasformati in contratti di solidarietà per 230 lavoratori a partire da maggio 2018 per un anno (ma forse chiuderà prima, a fine febbraio). Le prospettive rimangono comunque oscure o poco rassicuranti. Ci vorrebbe nuovamente un faro acceso su questa importante e storica realtà del nostro territorio, agire prima che conoscenze e occupazione svaniscano o vengano esportate altrove.

Advanced Caring Center (ACC)

Anche in ACC come in tutte le ex di Olivetti più passa il tempo e più le condizioni di lavoro peggiorano, quando non chiudono definitivamente …
L’azienda fu creata (come nelle migliori tradizioni) per gestire esuberi di altre aziende del gruppo, e i suoi dipendenti hanno quindi già perso nel solo passaggio (ad esempio da Olivetti I-jet a ACC), livelli contrattuali e pezzi di retribuzione. Ma lo “scarica dipendente” una volta che inizia non si ferma al primo passaggio, così dal 1 gennaio 2019 i dipendenti ACC sono passatti in Telecontact Center, gruppo TIM, attraverso un trasferimento di ramo d’azienda, naturalmente perdendo altri pezzi di diritti. Primo fra tutti il cambio di contratto da metalmeccanico a telecomunicazioni che ormai abbiamo imparato a conoscere (per la grande diffusione di call center) e a conoscere i suoi limiti nella tutela dei diritti dei lavoratori. E con il cambio di contratto l’azienda coglie l’occasione per disdettare tutti gli accordi integrativi ereditati dalla Olivetti e tagliare ancora un po’ le retribuzioni. Purtroppo e orgogliosamente solo i lavoratori ACC di Ivrea (116 dipendenti) si sono distinti in questa trattativa, i dipendenti di Ivrea non hanno infatti dato mandato ai sindacati di firmare l’accordo con l’azienda e ad inizio dicembre scorso hanno scioperato davanti a Confindustria Canavese. Nelle altre sedi invece, a Carsoli in Abruzzo (80) e a Pont Saint Martin (90), i lavoratori hanno votato a favore dell’accordo. Paura di lottare? Almeno un pochetto … Potenza della rassegnazione?

TBSit

TBS dirà poco ai più, ma se diciamo che è l’azienda nata per acquisire il gruppo di sviluppo legato al “Progetto Schengen” della fallita Agile ex-Eutelia (già Olivetti …), capiamo tutti di cosa si parla. Ad Ivrea passarono da Agile a Tbsit una cinquantina di lavoratori, con il passaggio conservarono il lavoro, ma perdettero tutti (in percentuali diverse) pezzi di retribuzione: prendere o lasciare. L’azienda non è mai decollata, ha più o meno vissuto di rendita (quelli dei vecchi contratti Olivetti) senza aver mai dimostrato la minima intenzione di sviluppare le attività. Così ormai da diversi anni l’azienda ricorre ai contratti di solidarietà e alla cassa integrazione. Nel 2018 è passata alla gestione del gruppo trentino GPI che ne ha acquisito il 40%. Il nuovo socio di maggioranza nel luglio scorso rifiuta la richiesta sindacale di proroga in deroga della cassa integrazione e annuncia 98 esuberi in Italia (su 194 totali) di cui 14 a Ivrea. GPI Spa, capofila dell’omonimo Gruppo, ha chiuso l’esercizio 2017 con ricavi consolidati che sfiorano i 180 milioni di euro (+ 32% rispetto al 2016) e un organico di 3.904 collaboratori. Insomma non un gruppo in crisi, eppure a fine gennaio GPI licenzia 8 persone a Ivrea (22 in tutta Italia). Che prospettive ha TBSit? L’abbiamo chiesto alla Rsu, “Possono esserci prospettive serie, se e solo se TBSit verrà assorbita completamente da GPI. E comunque se si faranno politiche di crescita anche con l’inserimento giovani.“. Per come si è distinta finora la proprietà TBSit sembra difficile però un cambio di verso.

CIC

Lascio per ultimo in questa breve carrellata critica, il fallimento pubblico del Consorzio per l’Informatizzazione del Canavese: fallimento nella gestione che ha soffocato con le sue stesse mani la sua creatura potenzialmente virtuosa e fallimento nella vendita per l’incertezza di futuro che i presupposti ponevano. Puntualmente CIC, passati i tre anni dalla vendita alla privata CSP, scaduti i contratti garantiti dagli ex soci, crolla. In tre anni CSP non ha costruito nulla, in tre anni nessuno ha alzato una bandierina, e oggi si assiste allo smembramento di un polo tecnologico al servizio di Comuni e Asl senza batter ciglio. Nelle nuove gare per i servizi finora erogati dal CIC non sono state inserite le clausole di salvaguardia, così le aziende che hanno vinto le commesse non hanno avuto l’obbligo di assumere i lavoratori, l’opzione è stata lasciata discrezionalmente alle società. Una di queste ha assunto una quindicina di lavoratori, alcuni hanno trovato lavoro autonomamente, ma la gran parte dei lavoratori rischia seriamente di perdere il lavoro. Giovedì 7 febbraio si è tenuto presso l’assessorato al Lavoro della regione l’ultimo incontro del tavolo di crisi sul Cic, alla presenza dei vertici dell’azienda, degli esponenti sindacali e dei rappresentanti di Csp, su sollecito dell’assessora al lavoro. Le aziende hanno raccontato che entro fine febbraio arriveranno nuove commesse che occuperanno una parte di dipendenti e che presenteranno un piano industriale, ma da quel che si capisce, solo per poter far ricorso al Fis (fondo di integrazione salariale). Entro fine mese verrà convocato un nuovo tavolo per verificare la bontà delle dichiarazioni aziendali. Il CIC è fortemente a rischio e i soli a poter portare alla ribalta la gravità della situazione sono i lavoratori.

Cadigia Perini