Leopardi e la Natura

Rubrica CONTRONATURA di Diego Marra

O natura, o natura, perché non rendi poi quel che prometti allor? perché di tanto inganni i figli tuoi?
(A Silvia, G. Leopardi).

Il pessimismo del mio poeta preferito penso sia noto a tutti, suffragato da una mente eccelsa contenuta in un corpo congenitamente fragile e, per usare una litote, non proprio da superuomo; spesso definiva la natura “matrigna” per i dolori che aveva a lui causato e la morte in giovane età dell’ammirata Silvia, figura probabilmente ispirata a Teresa Fattorini figlia di un dipendente della famiglia Leopardi.

Non avete sbagliato rubrica, non mi sono convertito alla critica letteraria, non sarei in grado di farlo; il mio scopo è di confrontare la natura citata dal grande Giacomo (mi permetto di chiamarlo per nome) con la Natura come la conosciamo scientificamente oggi. Si possono dare diverse definizioni del concetto, quella che mi pare più attinente è: “Complesso della totalità dei fenomeni e delle forze che si manifestano nell’universo regolati da leggi proprie, da quelli del mondo fisico a quelli della vita in generale”. Probabilmente Leopardi si riferiva solo al concetto di vita degli esseri umani in continua lotta contro il decadimento fisico e l’entropia. Quindi definirei la natura citata dal grande vate con la lettera minuscola, mentre la Natura, come da definizione scientifica, preferisco scriverla con l’iniziale maiuscola.

Orbene, questo preambolo mi conduce all’argomento che vorrei trattare, stimolatomi dal luttuoso evento sismico avvenuto nel Vicino Oriente. Ogni volta che accade una calamità, cosiddetta naturale, si sollevano lamenti contro la Natura; chissà perché l’essere umano tende a ritenersi avulso dal contesto naturale se non superiore ad esso, come se il nostro piccolo mondo ci odiasse e volesse sterminare la nostra miserrima specie. Alluvioni, terremoti, eruzioni, valanghe, frane, ecc. sono percepiti come insulti alla specie umana mentre, forse, dovremmo riflettere su ciò che abbiamo combinato per scatenare questi eventi funesti. La colpa è solo nostra, non della Natura, se abbiamo popolato pendici di vulcani, aree franose, costruito dove non si doveva fare e con materiali scadenti, antropizzato le sponde alluvionabili dei fiumi, sconvolto il clima terrestre con l’immissione sconsiderata di gas serra, sfruttato dissennatamente risorse non rinnovabili. Vogliamo, dunque, smetterla di lamentarci con la Natura e prendere coscienza della nostra fallibilità e dell’insostenibilità del nostro sistema di sviluppo tossico?

Ricordo di avere scritto anni fa un articolo sugli “alberi assassini”, così denominati perché piantati lungo la viabilità e contro cui si erano schiantate auto con effetti a volte letali (per il conducente, non per l’albero). È un piccolo, ma sintomatico, esempio del trasferimento di responsabilità dal colpevole (uomo) all’innocente albero che non era spuntato all’improvviso per assassinare un essere umano che invece riteneva suo diritto eccedere il limiti di velocità, magari dopo una bella libagione alcolica. Secondo questo criterio antropico l’albero avrebbe dovuto essere abbattuto essendo colpevole di lesioni al borioso essere umano. Tutto ciò è consustanziale al modello di società in cui viviamo dove la responsabilità è sempre di qualcun altro, o della Natura, mentre gli unici interessi umani paiono essere il possesso e il denaro corredati da un atteggiamento di superbia e sopraffazione degli altri esseri viventi e dell’ambiente circostante.

Parafrasando e rivoltando il pensiero dell’eminente recanatese, ritengo che la Natura, se si potesse esprimere verbalmente, definirebbe “figlia degenere” la specie umana che sta provando a distruggerla non capendo che così facendo distruggerà anche se stessa.

Diego Marra