Mountain Men

Inaugurata, a Bard, la mostra di Steve McCurry

Steve McCurry al Forte di Bard

L’invito all’inaugurazione della mostra, del famoso artista americano, mi consente, data la sua presenza, di valutare tutti quegli aspetti che si accompagnano alla presentazione di un personaggio famoso che calamita su di sé, e sulla sua opera, le attenzioni generali. E così, come si conviene, cameramen e fotografi, al Forte di Bard, sabato 27 maggio, pullulano in un alveare a colpi incrociati di flash che bersagliano ora il pubblico ora il celebre maestro. McCurry è molto amato in Italia. Non molto tempo fa, alla reggia di Venaria, una sua personale mostra ha tenuto banco per mesi. Le sue foto e i suoi libri guadagnano fior di dollari in tutto il mondo e il suo occhio è fonte di continua ispirazione per tutti i fotografi che inseguono il suo talento. Parte del suo successo è dovuto anche all’immagine “icona” della ragazza afghana dagli occhi verdi, un ritratto del 1985 reso celeberrimo da una copertina del National Geographic. Ma la popolarità di McCarry non è certo ostaggio di quel ritratto. Il suo sguardo ha continuato a spaziare in ogni angolo del pianeta così come recitano le sue parole, ben in vista su un pannello della mostra: «La mia vita è plasmata dal bisogno insopprimibile di viaggiare e di osservare, e la mia macchina fotografica è il mio passaporto».
Ed eccolo dunque al cospetto del pubblico questo artista vagabondo che adesso, dopo una breve conferenza stampa, si avvia all’imbocco della mostra tra due ali di pubblico. Tra le immagini predominano i ritratti, i volti in primo piano di chi la montagna la vive a diretto contatto con la natura. Molte sono immagini conosciute che vengono da paesi lontani, volti che sembrano di cuoio screpolato, facce che sono paesaggi, rughe come solchi di pietra, in cui brillano gli occhi come pozze di luce. “Mi ha sempre affascinato la montagna – dice McCurry – più della sabbia o del mare”. La gente di montagna campeggia nei ritratti, soprattutto quella di un tempo ancora lontano dalle facilitazioni permesse dalla tecnologia. Una montagna in cui la vita ha il sapore aspro della fatica. E ci sono anche delle immagini inedite, scattate in Italia nel 2016, precisamente in Valle d’Aosta, che ti rivelano come la bellezza sia ovunque. McCurry ci racconta di come sia stato affascinato, a Cogne, dalla battaglia delle “reines” ed ecco allora il suo scatto, uno solo, con le due mucche che si sfidano muso contro muso, un urto congelato nella tensione dei loro occhi neri. Ecco le nostre montagne, nella fiabesca visione di una veduta innevata, un ponticello di legno, una figura scura e femminile voltata di spalle. Ovunque l’elemento umano affiora, si fonde come parte integrante del paesaggio. C’è anche una foto scattata in zona di Bard, lo sguardo spiove dall’alto, uno scalatore affronta la roccia, più in basso il forte troneggia come pietra nel verde. La bellezza è qui e, come si dice, risiede negli occhi di chi la sa vedere. Non basta il lavoro, ci vuole il talento, la tenacia dell’attesa, il fiuto del bello, la consapevolezza dello spazio da cogliere e da armonizzare nella composizione. La fotografia, arte dello sguardo, si racconta, senza dimenticare (altra didascalia all’interno del percorso nella mostra) che spesso «Alcune delle fotografie più riuscite arrivano lungo il viaggio e non a destinazione». Ci sono ancora due foto italiane che risplendono: una racconta la vendemmia nei pressi di Aosta, una cesta ricolma di grappoli bruni, mani graziose, il volto di una donna bionda come un angelo contadino. L’altra arriva da Saint Pierre: ci sono due bambine che giocano a palla, alberi da frutta, il castello e un cestino di mele in un angolo. È un incanto e non mi importa se, forse, la foto è costruita. A contare è il risultato, conta il quadro che si offre all’occhio, conta l’efficacia plastica dell’insieme. Fuori intanto, nel cortile del forte, si offre il classico rinfresco. Osservo ancora l’abbraccio (scatto del 2013) del bimbo, che dorme insieme alla sua mucca a Katmandu, poi atterro in Birmania, nel 1994, per ammirare il ragazzo che, striato di pioggia, fuma il sigaro sul dorso dell’elefante. Più tardi, nel cortile, scelgo un calice con il succo di mele. La luce taglia obliqua la scena, le persone chiacchierano, commentano, bevono. Una donna ha i capelli bianchi e il volto baciato dal sole. La pelle è un’abbronzatura precoce e dorata. È bella come il personaggio di uno scatto riuscito. McCurry, ancora una volta, colpisce nel segno.

Pierangelo Scala