Non bastano 10.000 agenti per toglierci l’alta felicità!

Il Festival Alta Felicità, l’evento che contraddistingue le estati NoTav è arrivato alla quinta edizione, che quest’anno si è svolta dal 30 luglio al primo agosto. Dopo un anno di sospensione a causa della pandemia Covid-19 il movimento, la cui lunga lotta dura ormai da oltre 30 anni, è tornato a scommettere sul desiderio di stare insieme e realizzare nuovamente qualcosa di unico e di accessibile a tutte e tutti e di divertirsi “alla moda No Tav“. Tre giorni di camminate per i sentieri della Valsusa, dibattiti, momenti di socialità e concerti. Anche quest’anno tanti, come sempre, gli artisti sostenitori del Festival: da Willie Peyote a Bandakadabra, dai Modena City Ramblers ai Lou Dalfin e tanti altri. Con lo spirito che da sempre contraddistingue questa lotta, esempio unico e bellissimo di cura e sensibilità verso l’altro e dove lo slogan “si parte e si torna insieme” diventa la messa in pratica del “buen vivir”.

Resoconto di un militante

Torna nella borgata di Venaus il Festival dell’alta felicità, dopo un anno di pausa legato alla situazione pandemica! Quest’anno il movimento No Tav ha deciso di svolgere il suo annuale festival nonostante le mille problematiche, ha deciso di farlo tutelando tutte e tutti, giovani e anziani, deboli e forti. Il festival infatti è stato reso possibile grazie ad alcune semplici precauzioni per evitare che un momento di festa, confronto e lotta si trasformasse in un nuovo focolaio covid. L’ingresso era garantito con almeno una dose di vaccino e/o test salivare negativo. Prendersi cura della terra e di chi la abita significa anche questo per i No Tav, poter stare insieme in sicurezza.
Pochi giorni prima la notizia che la ministra Lamorgese ha chiesto la presenza di 10.000 forze dell’ordine in Valsusa, cercando così di intimorire i resistenti!
Il sabato tanta gioia, tante le chiacchiere, i racconti e le storie delle lotte portate avanti da chi è  arrivato da lontano per quel fine settimana ad alta felicità. Alle 14 ci si prepara, scarpe da montagna, pantaloni comodi, zaino in spalla, fazzoletto no tav appeso al collo. Si parte verso il mostro, quella maledetta tragedia che sta massacrando la Val Susa da trent’anni. Tanti i cori e le canzoni, “fuori le truppe d’occupazione”, “si parte si torna insieme”, “dalla Sicilia alla Valsusa, la lotta non si arresta, la terra non si abusa”. Quelle voci che rimbombano in una valletta così stretta. Un’eco emozionante e  pieno di rabbia per chi divora la terra e picchia chi la difende, per i suoi sporchi interessi. In testa alla marcia uno striscione semplice e chiaro, rosso su bianco: “siamo la natura che si ribella!”.
Ed eccoci giunti al cancello, quel maledetto grigio insieme di reti e filo spinato, un insieme di rotture con la meravigliosa natura che tenta di non cedere al cemento. Inizia la battitura, in tantissime/i battiamo contro il cancello con una pietra o un ramo, un segno pacifico di dissenso mentre digos, militari e celerini ci filmano uno per uno come fossimo pericolosi detenuti. La voglia di resistere è tanta, si percepisce guardando gli occhi di ognuno. Dopo poco tutto si riscalda, il taglio delle reti e il tentativo di superare i cancelli, abbattere il filo spinato con un lazzo. Subito la polizia lancia numerosi lacrimogeni da 15 metri di altezza, sulle teste dei ragazzi e delle ragazze che tentano di resistere. Le prime due teste spaccate da un maledetto candelotto di gas CS lanciato ad altezza d’uomo! Il gas CS è usato sotto forma di spray da diverse forze di polizia come agente neutralizzante temporaneo, per controllare rivolte o aggressioni, anche se il suo uso in guerre internazionali è stato definitivamente vietato nel 1997 con l’entrata in vigore della convenzione sulle armi chimiche di Parigi. Quel gas che non fa solo lacrimare, che ti brucia dentro e fuori, come fiamme che ti avvolgono per corrodere la pelle. Poi la notizia che la digos sta cercando di colpire i resistenti con il lancio di diversi massi e pietre. Certo, così possono dire che i feriti sono stati centrati da “fuoco amico”. La tensione è tanta, i feriti aumentano, siamo a tre. La determinazione dei/delle no tav non manca però. Ecco che ci si divide, in molti intraprendono i sentieri per provare ad aggirare il blocco di forze dell’ordine e tagliare le reti in altri punti. La polizia aumenta la quantità di spari. Ma il corteo nonostante tutto continua a cantare, a fare cori, perché non basterà un lacrimogeno e un cancello per fermare l’alta felicità di chi sa di stare dalla parte giusta! Arriva la notizia che qualcuno è riuscito ad entrare nel cantiere, ad aggirare la polizia e a colpire un blindato dei militari abbandonato. Non bastano 10.000 uomini per fermare un popolo in rivolta! Ecco che la dimostrazione è stata data, i feriti sono 5/6, tre ore di resistenza eroica davanti a mezzi smisurati di repressione contro un popolo disarmato.
Ora si torna insieme. L’entusiasmo sulla strada del ritorno non manca, i racconti di quello che era appena avvenuto, i confronti con i più anziani che raccontano le loro storie di resistenza e ringraziano i più giovani per tener duro, per non demordere. Insieme si torna, tutti, grandi e piccoli, giovani e meno giovani. La sera si mangia, si beve e si canta, la consapevolezza di aver ragione negli occhi, l’emozione dello stare insieme sulla pelle, l’amore per quella terra nel cuore.
Avanti No Tav! A sarà düra, sì ma per loro!

Emilio Morniroli