NON SO-STARE NEL CONFLITTO

Cronache elementari

Quando ero una bambina e ancora non sapevo che avrei fatto la maestra, litigavo spessissimo con mia sorella Maria Luisa.
Il nostro momento preferito era quando venivamo lasciate temporaneamente sole in casa per qualche motivo. Proprio allora, non so perché, si scatenava la nostra ira funesta, che più volte si concludeva con la corsa in bagno di una delle due, dopo aver inferto colpi con parole mani o piedi, e con il martellamento di pugni da parte dell’ altra sul vetro della porta, accompagnato da urla imploranti un incompiuto desiderio di vendetta. Il vetraio da cui mio padre periodicamente si rivolgeva per la sostituzione ci è ancora grato.
Lei era “quella che menava”, io ero “quella che parlava” e sappiamo che ne uccide più la lingua che la spada o un calcio ben assestato.
Nel linguaggio comune la parola conflitto è diventata un sinonimo della parola guerra e anche questo ha contribuito ad alimentare la repulsione o la rimozione nei confronti di
una dinamica relazionale inevitabile, di cui ognuno di noi fa continuamente esperienza, dentro se stesso, con gli altri, con la vita. Daniele Novara, pedagogista e fondatore del CPP (Centro psico-pedagogico per l’educazione e la gestione dei conflitti)  sottolinea che il conflitto rappresenta uno dei tabù pedagogici del nostro tempo: la maggior parte di noi adulti mal sopporta i litigi tra bambini, siano essi figli o alunni; riteniamo che sia qualcosa da evitare il più possibile, siamo turbati nell’assistere alle loro liti e tendiamo spesso ad intrometterci per reprimerle, imponendo un’immediata riappacificazione. Il conflitto ci fa paura, ci fa paura il dissenso, nostro e da parte degli altri, ci fa paura la rabbia. – Non fare il maschiaccio, le bambine non urlano e non picchiano – Guarda com’è tranquillo il tuo compagno, non si arrabbia mai! –
Ora che sta crescendo, mio figlio non è non è più lo stesso, prima andavamo d’accordo quasi su tutto, non lo riconosco piùEra una coppia così bella, non litigavano mai . Mi viene in mente un podcast che ho ascoltato un giorno durante una delle mie camminate tra i vigneti del mio paese.
Parlava di un questionario sulla competenza/carenza conflittuale e diceva che violenza e passività sono le due facce di una stessa medaglia, infatti l’obiettivo, spesso inconsapevole, di entrambe è quello di evitare il conflitto, eliminandone la causa: gli altri, o se stessi. Il conflitto ci impone di porci delle domande su quali siano i nostri bisogni ed obiettivi, di fare i conti con la necessaria espressione della nostra aggressività ed assertività, ci chiede di definire i nostri limiti e i nostri confini, di scendere a patti con la nostra fragilità ed imperfezione, e con quella dell’altro.
Ma se il conflitto è inevitabile, allora arrivare alla pace è un processo, e forse possiamo fare poco per la gestione delle guerre, ma possiamo fare molto per aiutare i bambini ad imparare a “litigare bene“, ma, prima ancora, per imparare ad affrontare e gestire i nostri conflitti, con loro, tra adulti, dentro di noi. Per Gordon è proprio questo il punto critico: COME viene risolto il conflitto… E’ il fattore per determinare se un rapporto crescerà in modo sano o malsano, reciprocamente appagante o insoddisfacente, profondo o superficiale, intimo o freddo.
Allora si che avrà davvero un senso recitare nel nostro angolo del conflitto, personale, familiare o nell’aula della nostra scuola, la formula della pace di Pecorino Profumino: Stracchino e groviera/tutto si aggiusta tra mattina e sera/ pace e fontina/ fiducia e cacio/ la vita è bella/ diamoci un bacio!

Betta Dolcemiele – Maestra

D. Novara, Litigare fa bene, Rizzoli
T. Gordon, Genitori efficaci, Ed. La Meridiana
T. Gordon, Insegnanti efficaci, Giunti
A. Sarfatti, Pecorino Profumino, Giunti