Notre Dam(n)ation

Qualora ce ne fosse ancora bisogno (ma il dato è così scontato, così ovvio e così patente sia fuori che dentro di noi, che persino ci sfugge, nello stesso modo in cui sfugge la lettera rubata di Poe: ecco perché occorre ribadirlo), ammesso che ce ne fosse ancora bisogno, dunque, proviamo ugualmente ad esplicitare la sensazione che abbiamo provato osservando le fiamme che, dinanzi agli occhi attoniti dei Parigini e del mondo intero, hanno divorato in poche ore la copertura in legno secolare della cattedrale di Notre Dame. E ciò specialmente a fronte degli 800 milioni di euro raccolti, anche qui nel giro di poche ore, non solo in Francia ma in tutto il globo per la sua ricostruzione. Ebbene, una cosa credo che un tale generoso ammontare ci abbia almeno confermato, apertamente e universalmente, senza l’ombra di dubbio: a confronto con alcune opere che gli esseri umani hanno creato, specie quelle che hanno un valore sacro, che hanno cioè come scopo ultimo la conferma del riconoscimento identitario religioso riguardo la salvezza dello spirito e l’immortalità dell’anima, l’esistenza dei corpi umani non ha alcun valore. Sicché, oltre al cielo parigino, quelle fiamme mi pare abbiano illuminato anche il couvercle d’angoisse che il poeta, con il suo sguardo acuto, aveva visto gravare sull’umanità.
Un’angoscia che, certo, avevamo avvertito anche dinanzi alla demolizione dei templi siriani di Palmira o dei Buddha afghani di Bamiyan, e che temiamo possa riemergere in occasione di ogni guerra, compresa naturalmente quella che si è appena inaugurata in Libia. Ovvio, la guerra – la Verwirrung – genera quello stato di confusione e di caos in un’attività che i medesimi esseri umani non riescono ad evitare di intraprendere per difendere i propri interessi. Essa determina quelle condizioni in cui sia le opere d’arte sia le stesse vite umane perdono improvvisamente tutto quel valore sacro che in tempo di pace i contendenti sono propensi ad attribuirvi; è in ultima analisi, quella circostanza nella quale la materia organica dei corpi umani si mischia anzi tempo con la materia inorganica delle opere d’arte; è quindi quella singolare situazione nella quale tutto diventa pattume allo stesso titolo. Quella generosa e consistente profferta ci conferma pertanto ancora una volta quanto gli uomini sanno bene da quando sono comparsi sulla Terra: le cose (cibo, terra, oro, denaro, simboli del potere e della propria specifica identità) hanno molto più valore degli esseri umani. E che cos’è questa, se non la nostra vera dannazione originale, notre damnation?

Franco Di Giorgi