Paure e promesse in tempo di elezioni

Una riflessione sulle prossime elezioni

Raccontando una visita ad una postazione partigiana, un noto comandante biellese rilasciò, nel ventennale della Liberazione, questa dichiarazione: “E’ però ancora ben vivo in me il senso di paura che provavo passando sopra il villaggio, dove non vi era traccia visibile della presenza umana e il paesaggio reso così deserto era ravvivato soltanto dai bagliori degli incendi appiccati dai fascisti alle baite, nelle loro scorrerie quasi giornaliere”.
Molti di noi provano, se non proprio paura, almeno una forte preoccupazione per l’esito delle elezioni imminenti, importanti come sono tutte le scelte che riguardano chi ci deve, o, se preferite, dovrebbe, rappresentarci. Esito che, a sentire le promesse, o meglio le minacce che vengono dichiarate, potrebbe intaccare in modo serio la dialettica democratica ed avvicinarci pericolosamente ad una possibile deriva anti-democratica.
Quando, come qui, l’attualità non ci conforta, ci si può sempre affidare a reminiscenze scolastiche, pillole contro il malessere, che, pur non risolvendolo, possono aiutarci a trovarne le origini. Proviamoci insieme a fare questo tentativo, partendo dal senso delle proporzioni, che ci è stato insegnato a scuola con il motto Virgiliano “Si parva licet componere magnis” che si interroga “Se sia lecito confrontare le cose piccole con le grandi”.
Stando a questo suggerimento, se pensiamo ai figuri da talk-show della società di oggi, non potremmo nemmeno lontanamente paragonarne la statura morale a quella del comandante partigiano citato, e tanto meno la sua paura alle tante nostre. Eppure, un tarlo ci rode, nonostante questo, e, pur sapendo che non è corretto confrontare tra loro periodi diversi e non contestualizzati, questo tarlo che ci fa prendere in considerazione che le conseguenze cui potremmo andare incontro in caso di vittoria schiacciante della destra estrema non saranno affatto “parva”, piccole cose, saranno purtroppo le grandi cose di questo periodo, e quindi da non sottovalutare. Ci sono cose ancora più grandi, ovviamente, come l’egoismo, l’avidità, l’ intolleranza, il cinismo ed il razzismo, per non parlare delle tante guerre di cui si parla tanto o per niente, o delle scelte da compiere per evitare il declino della vita sulla terra.
In questa campagna elettorale troviamo nessun accenno al mondo del lavoro, alla pace, e fioccano flebili dichiarazioni di difesa della Costituzione da parte di apprendisti statisti con la memoria corta, che non si ricordano delle ferite inferte da loro stessi a questa Carta  fondamentale, usata spesso per puri scopi propagandistici. Ferite che hanno attirato accuse di conservatorismo a chi le ha denunciate, spesso in solitudine.
Nella Costituzione sono stati realizzati i sogni di chi anelava alla libertà e democrazia, e quindi l’unico modo per difendere i nostri stessi sogni è quello di attuarla concretamente in tutte le sue parti rimaste inapplicate e non vissute nel quotidiano.
Non si vuole qui ritornare nei dettagli su proposte referendarie divisive che fanno parte del passato. Bastino come esempi il pareggio di bilancio in Costituzione ed il taglio dei parlamentari, senza avere modificato la legge elettorale, che limita la rappresentanza ed esclude il rapporto fra elettori ed eletti. Ora la destra ci prova con la trasformazione della Repubblica da Parlamentare a Presidenziale, senza parlare dei contrappesi che si dovrebbero predisporre per evitare scenari di cui faremo volentieri a meno.
Chi piange lacrime di coccodrillo sul probabile esito di questa consultazione dovrebbe farsi prima una seria autocritica, se vuole tornare ad essere credibile nelle sue lamentazioni. Se le parole, e la grammatica, hanno ancora un senso dovremmo seriamente riflettere se coloro che ci hanno governato, assurti ad incarichi prestigiosi sorretti dai cosiddetti poteri forti, siano davvero i migliori, usato come superlativo assoluto, e nemmeno relativo.
E se, per contrapposizione, si pensasse una volta a quelli che nel mainstrean mediatico e nell’immaginario collettivo sono considerati i “peggiori”? Intesi come quelli che si occupano e danno voce alle persone in difficoltà, e ne rappresentano le vite, le sofferenze e le fragilità deboli? Quelli che sono contati, paradossalmente, fra quelli che non contano? Fra le tante promesse che vengono propagandate per catturare voti manca però, l’unica proposta che si vorrebbe davvero sentire: quella di trasformare la Dodicesima disposizione transitoria che “vieta la riorganizzazione, sotto qualsiasi forma, del disciolto partito fascista” in un articolo di legge. Dopo settantaquattro anni di transitorietà sarebbe davvero un passaggio fondamentale per fare i conti definitivi con un passato vergognoso, conti che in questo Paese non si sono mai fatti.

Una considerazione va rivolta ai cittadini che, molto comprensibilmente, hanno maturato la scelta di non andare a votare.
Il diritto di voto universale è uno dei doni che ci ha fatto la Resistenza, e ci insegnano fin da piccoli che non è bello rifiutare i regali. L’articolo 48 della Costituzione lo definisce – personale, eguale, libero e segreto – ma si sa come sia stato trasformato fino a fargli perdere importanza, considerato solo per uso e consumo dei partiti o delle correnti interne ad essi. I Padri e le Madri Costituenti non avevano affatto previsto che votare diventasse un inutile esercizio di avallo delle scelte partitiche, senza alcuna possibilità di scegliere chi ci deve rappresentare, come avviene in questa elezione.
Nonostante questa manomissione il voto rappresenta la massima espressione della sovranità popolare e pertanto non ci si deve arrendere allo svuotamento di questo come di altri Diritti fondamentali. Un articolo, in definitiva, che va rispettato principalmente per la sua accezione di diritto, e non di dovere. Come considerazione a margine vale la pena sottolineare che quelli che invitano ad assumere, prima e dopo i pasti, la medicina del voto utile, non si rendono conto (o forse se ne rendono conto fin troppo bene?) che invocarlo è anti-costituzionale, in quanto fra i quattro aggettivi con i quali è definito nel suddetto articolo il termine utile non compare affatto, ed anzi, cozza contro il “libero” ed in parte il “segreto”.
Ciascuno di noi, secondo la propria sensibilità, con la sua matita copiativa, può diventare un cittadino partigiano disarmato dell’eguaglianza, del diritto al lavoro, dei diritti civili, della parità di genere e della pace. Ed anche disarmante per la sua non violenza, la sua comprensione ed il suo spirito critico dei fatti del mondo, e per la gentilezza verso sé stesso, le persone e la natura a lui intorno. Un cittadino che è ancora con la ci minuscola, ma che dovrà diventare necessariamente con la ci maiuscola.
E’ un’utopia? Forse lo è, ma mai come quella di chi governa le sorti del mondo, che per migliorarlo vuol continuare testardamente, quasi in un impulso suicida, ad usare gli stessi strumenti che lo hanno reso così insopportabilmente diseguale, ingiusto e malato.

Luciano Guala