Povero Camillo!

A proposito della mostra Ex Littera

E’ un giovedì pomeriggio di qualche settimana fa quando mi avvio verso Palazzo Giusiana per visitare la mostra “Deus ex littera”.  All’ingresso, non accolgo subito l’invito a lasciare un commento sull’apposito libro, chiarendo alle due leggiadre fanciulle che lo farò però di buon grado al termine della visita. Dopo aver deambulato nelle due sale a pianterreno, indovinando i nomi degli scrittori ritratti e magonando per non essere in possesso di neanche una delle preziose monografie d’arte appollaiate sui caratteri cubitali del nome OLIVETTI, procedo al piano superiore. Ammirati i giganteschi dipinti di Massimo Giannoni, quasi perdendomi nei meandri delle sue librerie aggettanti, entro nella saletta-cuscinetto che precede la seconda sala di esposizione. Mi avvicino alla prima delle policrome “Lettera 22” disposte a girotondo e … No! Passo alla seconda: Ma no! Alla terza, incontenibilmente esplodo: No, no e poi no! Non è possibile! A tali concitati accenti, dalle sale limitrofe sopraggiungono allarmate due custodi e due visitatrici di mezza età, alle cui ultime domando: Siete di Ivrea? – Sì. – Allora saprete che Ivrea è recentemente diventata sito … – … dell’Unesco! – Brave, e ancor più recentemente, capitale … – … italiana del libro! – Eccellente, ma per cosa è famosa Ivrea da poco più di un secolo? – Il carnevale! – esulta una delle due con malcelato orgoglio. Il mio Ma va a campete an Deura! non viene colto, forse per ignoranza del dialetto, per cui proseguo: Nient’altro di forse un po’ più importante? –  (titubante) Forse … l’Olivetti?! – Senza forse! E grazie a essa, Ivrea è da allora la culla di che cosa? – Mmm? – Puoi leggere, per favore, la penultima riga della targhetta a lato di ogni macchina? –  inchiostro di macchina da scrivere. – Non ho inteso bene, ti dispiace leggere più forte? inchiostro di macchina da scrivere!

Nessuno di voi nota che c’è qualcosa di stonato? – Mmm? – Povero Camillo! la sua meravigliosa “macchina PER scrivere” è stata declassata a macchina DA scrivere, una macchina cioè che non è ancora stata o che deve essere scritta! Che vergogna, mi par di vedere i lividi di cui il povero, ma povero, Camillo si sta riempiendo rigirandosi impotente nella bara! Domando quindi alle custodi chi è responsabile della mostra: L’Assessore alla cultura. – Ah – esclamo, sbagliando ad arte – l’Assessora, l’Assessrice. – Non si dice Assessora! – mi sibilano in coro le due visitatrici. Mentre invece si dice macchina DA scrivere, vero? E, rivolto alle custodi, cui si è aggiunto un collega maschio, pretendo (che fòl!): Fate sparire queste bestemmie e sostituitele con la dicitura corretta! Al che, dopo avermi invitato (giustamente) ad abbassare il tono di voce (l’indignazione mi ha fatto un po’ perdere il controllo), tutti si dileguano. Posso così godermi le opere di Paolo Amico: prima i campioni di typewriting art (che si affacciano fuori delle macchine DA scrivere, vergognandosene), poi i notevolissimi disegni “a biro”. Mi complimento anche per la lodevole opera di restauro del palazzo e scendo infine a piano terra, dove lascio il mio commento scritto.

Oggi, a distanza di circa un mese, sono tornato a Palazzo Giusiana ingenuamente fiducioso di trovare le targhette corrette, ma debbo constatare con rammarico che il ”Deus ex littera” non ha avuto la costanza sufficiente per intervenire. Capisco allora che, al posto suo, dovrebbe esserci invece il tanto classico quanto più attendibile “Deus ex machina” … PER scrivere, naturalmente.
Purtroppo, ormai da decine di anni e in tutta l’Italia, “macchina DA scrivere” è detto anche da persone di cultura, è scritto da autori di nome, lo si sente nei film e in televisione, ha perfino contaminato un’istituzione come la Treccani, nel cui Vocabolario è attestata come voce “comune (anche se meno corretta)”.
Nonostante queste testimonianze del lento (ma neanche tanto) quanto invece inarrestabile degrado della nostra illustre lingua (e si limitasse soltanto a macchina DA scrivere!), io non riesco a rassegnarmi che lo si dica proprio a Ivrea e, peggio che mai, si ardisca inverecondamente scriverlo, e pubblicamente. Abbiate almeno la dignità di rispettare il nome di Camillo Olivetti!
Poiché ho ormai raggiunto la soglia degli ottanta, questo mio empito di sdegno sarà certamente considerato come lo sterile sfogo di un patetico nostalgico: ebbene, posso sopportarlo!

Giovanni Venuti