Quattro chiacchiere con Extinction Rebellion

In occasione della conferenza pubblica allo Zac di Extinction Rebellion Piemonte in collaborazione con Fridays For Future Ivrea, che, venerdì scorso (6 dicembre), ha visto, oltre ad una discreta partecipazione, un intenso e stimolante dibattito, abbiamo fatto una chiacchierata per scoprire qualcosa di più su di loro

Extinction Rebellion, spesso abbreviato XR, è un movimento volto a evitare la crisi climatica, il rischio di estinzione della specie umana e il collasso ecologico. Nato nel Regno Unito nel maggio 2018, si è rapidamente espanso in Europa e negli Stati uniti.

Intanto un po’ di presentazione: chi siete, cosa fate e cosa chiedete.

Siamo un movimento internazionale che combatte contro il rischio di estinzione della specie umana, facciamo azioni dimostrative per risvegliare l’attenzione pubblica sul tema della crisi climatica e del collasso ecologico, nonché conferenze in modo da divulgare il più possibile le informazioni a riguardo.
Dovunque il movimento sia presente nel mondo le richieste principali sono tre:
-Il Governo deve dire la verità sul clima e sull’emergenza ecologica in generale, invertire le politiche incoerenti e lavorare al fianco dei media per comunicare con i cittadini.
-Il Governo deve adottare misure politiche giuridicamente vincolanti per ridurre le emissioni di carbonio allo zero netto entro il 2025 e ridurre i livelli di consumo.
-Deve essere resa operativa un’assemblea nazionale dei cittadini per supervisionare i cambiamenti, come parte della creazione di una democrazia adatta allo scopo.

Come movimento praticate la lotta non violenta e la disobbedienza civile, ma dove si trova il confine? Il sabotaggio attivo, non lesivo della singola persona ma della proprietà privata, è per voi una scelta praticabile?

In generale no, per varie ragioni: intanto qui in Italia siamo ancora troppo pochi per iniziare una forma di lotta così controversa, puntiamo sull’essere un movimento di massa e sicuramente l’uso di metodi del genere creerebbe inutili divisioni interne. Situazione diversa è quella dell’Inghilterra, dove ad esempio sono state rotte delle vetrine della Shell ad una manifestazione. Un punto importante è sicuramente l’impatto mediatico che si vuole dare, se insomma il gioco vale la candela: il danno economico di una vetrina rotta per la Shell è insignificante, non mi sento di condannare l’atto in sé, ma l’impatto sull’opinione pubblica può essere notevole, in un senso e nell’altro. Diverso è ovviamente dar fuoco ad un’auto privata, creando un danno economico magari notevole a qualcuno che non ne può nulla. Entro ragionevoli limiti ognuno di noi ha una percezione diversa di cos’è un atto violento, il nostro intento per ora è di raggiungere più persone possibile.

Come XR Piemonte ovviamente vi muovete principalmente su Torino, città da sempre animata da numerose realtà militanti di vario genere, spesso dai metodi radicali, uno fra tutti il movimento No Tav. Come vi ponete a riguardo? Mantenete dei rapporti?

Fin da subito siamo stati avvicinati da diversi movimenti e centri sociali, soprattutto da attivisti No Tav. Non ci sentiamo tuttavia di prendere una posizione netta per una semplice scelta strategica: il problema su cui vogliamo porre l’attenzione è di portata globale, troppo complesso per racchiuderlo in lotte specifiche, come quella sulle grandi opere o sull’uso dell’energia nucleare. Questo non preclude assolutamente la possibilità di dialogare, che è anzi il nostro obbiettivo: molti di noi vengono da realtà militanti di questo tipo, tuttavia hanno trovato in XR una realtà più affine che punta ad uno sguardo più complessivo. Il problema che affrontiamo non è di facile soluzione, nemmeno noi sappiamo come risolverlo, e non vogliamo precluderci nessuna porta con il rischio di essere inglobati da un movimento più localizzato ed escludere la parte di popolazione che la pensa in maniera diversa, ma che sarebbe stato comunque possibile sensibilizzare riguardo la nostra causa.

 “L’ambientalismo senza lotta di classe è giardinaggio”, diceva il sindacalista brasiliano Chico Mendes. Quanto vi trovate d’accordo con questa affermazione?

XR è perfettamente consapevole dell’impossibilità di separare la lotta ambientalista da un discorso di cambiamento radicale del funzionamento del sistema economico: i poveri subiscono sempre di più il problema ambientale, basti pensare al fatto che i cambiamenti climatici colpiscono maggiormente le aree più svantaggiate del globo o a come anche nel mondo occidentale le classi subalterne paghino per le miopi politiche ambientali dei propri governi.
Tuttavia sarebbe una forzatura dire che XR è a favore della lotta di classe: questo sistema di crescita senza fine dei consumi non è chiaramente sostenibile, ma il problema non si può limitare ad una dicotomia tra capitalismo e socialismo, poiché si tratta di un problema che riguarda tutti i sistemi economici.

Restando sul tema, il libro Realismo Capitalista del filosofo Mark Fisher inizia con una frase che sembra legarsi molto alla vostra lotta: “È più facile immaginare la fine del mondo che la fine del capitalismo”. Dando per scontato che non esista più alternativa economica possibile, ci estingueremo capitalisti o può esistere una forma di capitalismo sostenibile?

Teorie economiche alternative già esistono! Basti pensare all’economia circolare o all’economia dello stato stazionario. La verità è che bisognerebbe arrivare a sensibilizzare gli stessi economisti su questo tema, in modo che vengano prodotte nuove teorie che partano da un’ottica di sostenibilità. La posta in gioco è altissima e troppo spesso il cambiamento climatico viene ritenuto un rischio accettabile anche dagli economisti più sensibili al tema: il rischio è quello del trasformismo, in cui il cambiamento del sistema è illusoria o comunque insufficiente.

Parlando di trasformismo, da qualche tempo si parla del fenomeno del “greenwashing”, la strategia di marketing di alcune aziende volta a costruire una finta immagine di impresa ecosostenibile per sviare l’opinione pubblica dagli effetti negativi per l’ambiente delle proprie attività. Come possiamo difenderci da tali mistificazioni?

Partendo dal presupposto che è folle pensare che delle compagnie multinazionali enormi diventino ecosostenibili in pochi mesi, il primo consiglio non può essere che l’invito a informarsi sempre il più possibile. Poi vi è la questione del prezzo: alcuni beni non possono essere venduti a bassissimo costo senza che dietro vi sia una situazione di sfruttamento che riguarda sia l’ambiente sia intere comunità. Non bisogna tuttavia cadere in quello che potremmo chiamare “equivoco Tesla”: un modello di consumo più ecosostenibile non è esclusivo dei ricchi, anzi spesso se fatto con coscienza è più economico. Basta utilizzare la regola delle 3 erre: Ridurre, Riutilizzare, Riciclare.

In molti paesi d’Europa si è vista recentemente la crescita in termini elettorali dei partiti “verdi”, segno di un’attenzione crescente verso le tematiche ambientali. Tuttavia in Italia ciò non è avvenuto nel modo più assoluto. A cosa pensate sia dovuto?

Innanzitutto il Partito Verde si è consumato negli anni ’90 per le lotte interne e i giochi di potere, risultando quindi privo di rappresentanza, ininfluente e non credibile.
Poi vi è la questione dei media italiani, che trattano sempre il tema del cambiamento climatico in modo estremamente impreciso e come se fosse un’opinione: nelle trasmissioni televisive il dibattito è spesso posto in maniera errata, e per ogni sostenitore bene informato si invita come controparte un negazionista climatico. Il surriscaldamento globale non è un’opinione, è un fatto, sostenuto da decine di anni di studi e dalla stragrande maggioranza della comunità scientifica. Bisognerebbe discutere di cosa fare a riguardo, non dare spazio a personaggi discutibili.
Vi è infine un problema che potremmo definire generazionale: le tematiche ambientali sono tipicamente una lotta dei più giovani, e in Italia oltre ad un problema di sproporzione tra giovani ed anziani vi è la tendenza a dipingere le nuove generazioni come fannulloni e stupidi, salvo poi criticarli ferocemente quando dimostrano di portare temi importanti. A questo si aggiunge il fatto che i giovani si vanno sempre più distaccando dalle politica partitica tradizionale, assoggettata alle aziende e incapace di dare risposte concrete, spostandosi sempre di più verso forme di politica alternativa, ma questo è un problema che fa parte di una più ampia crisi della democrazia. Per questo una delle nostre proposte è la formazione di assemblee cittadine per monitorare la situazione ambientale.

Per quanto in Italia vi sia sicuramente un problema di calo demografico, molti sostengono che sia la sovrappopolazione il vero pericolo. Vi sono persino piccole correnti di pensiero, troppo controverse per esprimersi sulla scena pubblica, cosiddette agenetiche che sostengono la necessità di smettere di fare figli ed applicare un controllo delle nascite a livello globale.

Quando si parla di sovrappopolazione spesso si considera il fenomeno da una prospettiva errata. Il cambiamento climatico non è direttamente proporzionale all’aumento demografico ma più precisamente alla gestione di esso: basti pensare i paesi più popolosi come Cina e India hanno in realtà meno emissioni nocive e consumano meno risorse rispetto ai paesi in calo demografico come noi, il Giappone o gli Stati Uniti. La sovrappopolazione diventa insostenibile solo se pensiamo di continuare con questo stesso sistema di consumo sfrenato.

Mi sembra che abbiate le idee molto chiare riguardo il tipo di futuro che vorreste per il mondo, ma quale futuro vi piacerebbe per il vostro movimento?

Essere il più ampio e partecipato possibile, un movimento capace di focalizzare l’attenzione pubblica sul cambiamento climatico e portarlo al centro del dibattito mondiale. Non c’è nessun tema più trasversale dell’estinzione umana, e se non agiamo in fretta presto il cambiamento potrebbe diventare irreversibile.

L.Z.