Referendum sulle trivelle

Andare a votare per essere cittadini, votare SI per essere coerenti con Cop21

 

08-165512-107-72Ormai ci siamo, mancano pochi giorni al fatidico 17 aprile, giornata del referendum che dovrà stabilire se gli impianti estrattivi entro le 12 miglia dalla costa potranno continuare a estrarre gas e petrolio fino all’esaurimento dei giacimenti, oppure se dovranno fermarsi alla scadenza delle concessioni.
Tanto si è già detto a riguardo (mai abbastanza) e tanto si potrebbe ancora dire. C’è, infatti, chi paventa un’irrimediabile disastro economico e di produzione di energia se il SI al referendum dovesse essere decisivo.
Ma consideriamo questi elementi: circa due terzi dell’energia elettrica prodotta in Italia deriva dalla lavorazione dei combustibili fossili che devono essere, per la maggior parte, importati. Nel 2015, stando al Ministero dello sviluppo economico, l’Italia avrebbe consumato 67,5 miliardi di metri cubi di gas naturale, dei quali solo 6,7 prodotti nel nostro paese, importandone, se la matematica non è un’opinione, 60,8 da paesi come Russia, Algeria e Libia. Il petrolio viene utilizzato soprattutto per i trasporti e solo secondariamente per produrre energia elettrica. Nel 2014 il nostro paese aveva un fabbisogno di poco meno di 80 milioni di tonnellate di petrolio: il 90% è stato importato, mentre la produzione nazionale ha soddisfatto appena il 10 per cento della domanda.
Inoltre questi dati sono legati al contesto italiano nel suo insieme: la produzione nazionale soddisfa le nostre necessità di questi due combustibili fossili solo in minima parte (6 per cento per il gas e 10 per cento per il petrolio, come abbiamo visto) e le estrazioni entro le 12 miglia sono a loro volta solo una piccola parte della produzione nazionale.
Già queste prime indicazioni dovrebbero far scattare qualche perplessità, ma proseguiamo oltre.
Circa un terzo dell’energia elettrica prodotta in Italia, invece, deriva da fonti rinnovabili. La metà del totale proviene dalla produzione idroelettrica; l’energia fotovoltaica è al secondo posto tra le rinnovabili più utilizzate, seguita dalla combustione delle biomasse, dall’eolica e infine dal geotermico.
Non voglio addentrarmi ulteriormente all’interno di dati e statistiche, ma sulla base di quanto appena detto, veramente pensiamo che una limitazione (si badi bene, una limitazione, non una drastica interruzione dall’oggi al domani) possa comportare rischi non accettabili per il futuro dell’Italia? Se un terzo dell’energia elettrica prodotta in Italia deriva da fonti rinnovabili, quanto sarebbe catastrofico deviare investimenti e incentivi sfavorendo la già misera estrazione di gas e petrolio? Rinunciammo al nucleare, tempo addietro, rischiando anche allora, catastrofe delle catastrofi, la perdita di un’opportunità energetica “miracolosa”. La verità è che anche senza l’energia prodotta da fonti nucleari viviamo tranquillamente le nostre vite, con la bolletta che comunque segue le sue oscillazioni, ma con un’ambiente più tutelato e protetto.
Infine, ecco la ragione per la quale non penso che questo referendum dovrebbe essere trattato andando a snocciolare, così come fatto i sostenitori del NO, numeri, dati e statistiche.
Sono cifre relativamente piccole quelle legate all’estrazione del gas o del petrolio su suolo italiano. Realisticamente parlando, la vittoria dei SI non getterebbe l’Italia nel caos produttivo energetico. Secondo l’Associazione per lo studio del picco del petrolio, una vittoria dei sì al referendum porterebbe nella peggiore delle ipotesi a una perdita del 3 per cento di tutto il gas attualmente consumato in Italia e dello 0,8 per cento di tutto il petrolio. piattaforma petrolifera
Ridurre questo referendum ad una mera questione tecnica, fatta di cifrine e cifrette, significa non solo minimizzare l’importanza simbolica di un voto come questo, ma convincere gli indecisi che questa battaglia sia solo un “affare da esperti”. Che ne possono infatti sapere gli italiani della miriade di dati e numeri che ruota attorno alla produzione di energia in Italia? È un po’ come dire: chi siete voi per giudicare questioni di natura tecnica? Siete forse degli esperti del settore? No? Allora votate no o, come dice il governo, direttamente non andate a votare. Questa subdola forma di ragionamento mortifica l’elettore, andando ulteriormente a convincerlo che la politica, sia essa interna, estera, sociale o, appunto, di natura energetica, non sia un problema del quale egli si possa interessare o occupare.
Ebbene no! Questo referendum va al di là della questione tecnica, perchè se, nel XXI secolo dovessimo affrontare ogni scelta con l’occhio di un tecnico del settore allora dovremmo starcene perennemente a casa delegando ad altri la nostra scelta.
Questo referendum è, prima di tutto, un atto simbolico e di coerenza con gli impegni presi alla Cop21. Noi saremo coerenti il 17 aprile e voteremo SI. Voi, cosa farete?

Andrea Bertolino | 13/04/2016