Scuola. Ivrea, Italia. Non è cambiato niente

Aule affollate, mascherine obbligatorie, autobus pieni e fatiscenti: il Decreto Legge del 6 agosto raccomanda il rispetto delle distanze. Se possibile

“E’ raccomandato il rispetto di una distanza di sicurezza interpersonale di almeno un metro salvo che le condizioni strutturali-logistiche degli edifici non lo consentano”.
(D.L. 6 agosto 2021, n. 111 – Misure urgenti per l’esercizio in sicurezza delle attività scolastiche, universitarie, sociali e in materia di trasporti)

Chi l’avrebbe detto che, dopo quasi due anni di pena, si uscisse dall’imbarazzo con un “salvo che…”: È sconveniente intrupparsi alla fermata e poi salire tutti sullo stesso pullman. Salvo che… Aumenteremo le corse degli autobus in accordo con gli enti locali. Salvo che… Si prega di non ammassarsi nelle aule, davanti al bar, alle macchinette, nei bagni. Salvo che… Risolveremo il problema delle classi numerose. Salvo che…

 

Come prima più di prima

Infatti le aule sono affollate come prima più di prima, così come i mezzi di trasporto ancora più fatiscenti e inaffidabili (salti di corse, guasti, cambi di orario…).

Contro il contagio: distanziamento “ove possibile” e le maledette mascherine da non togliere proprio mai, anche se parlare, ascoltare, leggere, comunicare, respirare!, diventa una fatica insopportabile.

E dire che quella delle classi numerose, e parallelamente della necessità di strutture adeguate, non è questione nata con l’emergenza sanitaria.

Poniamo il caso di un professore di scuola superiore che abbia 5 classi (a seconda della materia e dell’indirizzo il numero varia tra 4 e 9) con una media di 28 alunni ciascuna per un totale di 140, una situazione “normale”. Mettiamo che il prof sia sveglio e pieno di energie e che abbia imparato alla perfezione i 140 nomi associando a ciascun nome una faccia e qualche informazione (dimestichezza con la lettura o con le formule, interesse per la storia o per le scienze, abilità tecnico-pratiche o tensione speculativa, familiarità con la scrittura o disgrafia o dislessia…). Immaginiamo che il docente sveglio ed energico prepari volentieri lezioni che coinvolgano anche lo studente in fondo all’aula mimetizzato dietro lo zaino, che riesca agevolmente a distrarre la classe da clash royale – il gioco che misteriosamente trova tutti concordi, che rapisca la scolaresca alla pratica compulsiva della chat.

È raro ma possibile (in presenza, impossibile in DaD). Tuttavia anche l’insegnante migliore del mondo dovrà curarli, ‘sti ragazzi, dovrà seguirli per portarli da qualche parte, dovrà correggere i loro scritti, dovrà sentirli parlare (se in una classe di 30 studenti ciascuno parla solo 20 minuti la settimana, sarà ogni volta questione di 6 ore circa), avrà bisogno di discutere gli errori e il metodo: l’insegnante Migliore non blatera per due ore di mirabilia: sa che si impara solo sperimentando e interagendo, e sa che ci vuole un sacco di tempo. A meno… a meno di lavorare in un gruppo di 18, 20 persone (scoperta!): solo allora la scuola potrà cominciare a pensare di cambiare.

S’era detto: “Ecco, la pandemia – palingenesi! – cambierà tutto, Sanità, Istruzione, Lavoro, Ambiente.”
Invece.

Il ministro della fiducia

Abbiamo però un ministro dell’Istruzione allegro, fiducioso, cordiale. Sentirlo parlare alleggerisce il cuore. Non che debba farsi carico di ogni inefficienza, ma è che lui i problemi non pare vederli.

Dopo lo scherzetto dell’esame di Maturità privato degli scritti (e dio sa se ora più che mai ci sarebbe bisogno di buona scrittura) senza uno straccio di perché, con 4/5 delle classi in vacanza e spazi immensi da sfruttare, ora è contento – e i media coralmente rimbalzano la sua giovialità – perché “abbiamo cominciato in presenza”, come fosse una novità (il problema non è mai stato cominciare).

Ci rasserena poi con i “salvo che…”, come a dire “Si fa quel che si può, su col morale!”

Ci assicura inoltre, dalle pagine dell’amichevole Sole 24 ore, che “l’emergenza che stiamo vivendo ha impresso forti accelerazioni nella scuola. Ha generato profondi cambiamenti”.

Cambiamenti?, si domanda il lettore sprovveduto.

“La scuola, per reagire a una condizione del tutto inattesa, quella della gestione della pandemia, ha messo in moto energie nuove, si è messa in cammino verso il futuro (sic!), avviando dal basso quelle riforme di cui si parla da venti anni”.

Cioè? (sempre il lettore ingenuo)

“La scuola del futuro deve tornare a mettere al centro le persone. Più nello specifico, le persone in crescita, i nostri bambini e ragazzi”.

Ah… mo’ me lo segno.

is