Scuola: riprendersi la parola

Cominciano le lezioni e il nuovo anno accademico. Tra chi comincia un nuovo ciclo scolastico e che si appresta a terminare quello vecchio, intorno alla “scuola” ci sarebbe ancora molto da fare, ma la responsabilità non può essere tutta a carico dei Ministri

Gelmini Profumo Carrozza Giannini Fedeli*
E sono solo gli ultimi ministri dell’istruzione italiani, troppo facile fare di meglio.
Tanto più che Bussetti, nonostante dichiarate simpatie legaiole (ma che davero?), per il momento non si spaccia da solutore di ogni problema, né pare affetto da manie twittercompulsive, ed è comunque un sollievo.
E questo ministro un po’ Carneade, defilato e poco ciarliero alcune mosse giuste le ha fatte.
Eliminando la chiamata diretta dei presidi, dannosa non tanto perché gli insegnanti siano tutti bravi (il che, ahinoi, non è per niente vero), ma perché la selezione dei docenti andrebbe decentemente attuata a monte e i criteri per la chiamata chiariti prima in modo trasparente, uniforme e severo. Non lasciati al giudizio inappellabile e imponderabile di un dirigente già oberato di altri lavori e altre responsabilità.
Sospendendo l’obbligatorietà della prova Invalsi e dell’Alternanza Scuola lavoro (ASL) al fine dell’ammissione alla maturità 2018/2019.
Annunciando di voler dimezzare le ore di ASL, che è già qualcosa (in attesa, si spera da più parti, di abolire il lavoro coatto nei luoghi – demodé – deputati allo studio e al pensiero).
Stanziando denaro per il rattoppo di edifici non sempre vecchi ma spesso fatiscenti, dentro i quali ad ogni temporale piove letteralmente.
Procedendo con l’assunzione a tempo indeterminato di giovani pronti a coprire cattedre l’anno scorso vacanti, e con il benedetto concorso per dirigenti scolastici che levi di mezzo le vergognose inefficienti reggenze.

Marco Bussetti, attuale Ministro dell’Istruzione

Ci si potrebbe accontentare, pur rilevando che molto resta da migliorare.

Invece la scuola ha bisogno di ripensarsi e riformarsi nel profondo, a meno di condannarsi alla mediocrità e alla banalità delle mode e degli slogan.
Ma: quale scuola vogliono insegnanti, genitori, studenti, politicanti, giornalisti e predicatori della domenica, tutti coloro – tutti – che da un decennio almeno si lagnano in loop?
“I ragazzi non leggono più non studiano più non si impegnano più e sono cafoni, i professori lavorano poco, maltrattano gli studenti, non li comprendono, non vogliono aggiornarsi, non adorano le tecnologie 2,3,4 punto zero, fanno troppe vacanze, sono impreparati, non interpretano ogni dì L’attimo fuggente incantando con la loro malia imberbi aristocratici. I programmi sono vecchi, troppo pesanti, scandalosamente leggeri, superficiali, incomprensibili, le vacanze troppo lunghe, concentrate, con troppi compiti, con pochi compiti, e chi me li tiene i bambini”.
E senza dubbio scontentezza, frustrazione, delusione sono diffusi e ragionevoli.
Dunque cambiare. Ma cosa? Come? Perché? Ciascuno ha in mente una scuola tutta sua, e nemmeno quella: l’istruzione discende da un piano, idee e interpretazioni di passato e presente, progetto di futuro. E in questi giorni tristi il messaggio unico che passa ovunque è la difesa dei propri interessi e dell’angusto personale polveroso perimetro. Un po’ poco, culturalmente parlando.
La salvezza, l’unica, non può stare nel ministro che tutto salverà: piuttosto nella reazione, e quindi nello studio, nel dibattito, nella proposta e nella sperimentazione: un processo lungo ma entusiasmante e obbligatorio.
E per cominciare è d’obbligo riprendersi la parola, proprio come si faceva negli anni Settanta: riflettere, provare e provarci. Naturalmente credendoci.

*Fedeli – Bugiarda, incapace, scarsamente scolarizzata (!), modesta conoscitrice della lingua italiana; emblema, quest’ultima, di una classe insegnante ferita e umiliata; con lei il Partito Democratico ha definitivamente perso il voto dei docenti.

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