Scuola speedy, trasversale e digitale

Talvolta perfino con il consenso dei lavoratori, il sistema italiano va verso la riduzione del 20% di studi superiori

L’ operaio conosce 300 parole, il padrone 1000, per questo lui è il padrone”. (Frase scritta sul muro della scuola di Barbiana di Don Milani e ripresa da Dario Fo in una commedia).

CINGOLANI & BIANCHI

A proposito di “soft skills”, Cingolani e Bianchi sanno cos’è il lavoro di gruppo: mentre uno si domanda se non sia meglio sostituire lo studio della Storia con quello della cultura digitale*, l’altro lancia con un Decreto Ministeriale l’estensione dell’idea, già renziana, dei corsi superiori quadriennali.
Certe volte unendo i puntini vien fuori un disegnino.

RIDUZIONE

Il Decreto Ministeriale n. 344 del 3 dicembre 2021, che coinvolgerà fino a 1.000 classi di altrettanti istituti, ridurrà gli studi superiori da cinque a quattro anni. Ci sono diversi motivi per togliere tempo all’istruzione e regalarlo al lavoro o alla strada o al vento. Intanto, banalmente, c’è da ricavarne un bel risparmio: a regime un anno su 5 è il 20% del tempo scuola che va via, fuori un po’ di docenti e ATA, più spazio, meno concorsi, taglio delle spese e pure delle rogne.
Poi c’è da entrare nell’Europa, allinearsi e adeguarsi a prescindere dal costo, culturale e dunque non quantificabile. Infine – ma questa è politica – studiare serve davvero al “Sistema Paese“?

SPERIMENTAZIONE

Una fregatura così – meno lavoro, più precarietà, scarsa istruzione in luogo di una straripante quanto polimorfa “digitalizzazione” – non la puoi mica imporre ope legis, capace che qualcuno dice NO, o che magari il CSPI (Consiglio Superiore della Pubblica Istruzione) te lo demolisce come già fece nel 2017 in epoca Fedeli. La mossa un po’ goffa del Ministro, o chi per lui, sta quindi nel proporre il taglio di un anno come “sperimentazione“, per dire che poi si vedrà, sempre senza fissare modi tempi e criteri di verifica, ché non si sta qui a pettinare le bambole.
Per dirla con eleganza: non di solo taglio si tratta, ma di innovazione, cambiamento, trasversalità, didattica rivoluzionaria che – siori e siori venghino – ottiene gli stessi risultati in meno tempo!: “in modo da assicurare agli studenti il raggiungimento delle competenze e degli obiettivi specifici di apprendimento previsti per il quinto anno di corso”.

RIECCO L’AUTONOMIA

Per quale mirabile prodigio in quattro anni si potrebbero ottenere i risultati che forse e faticosamente si raggiungono in cinque? Domanda scema: ricorrendo “alla flessibilità didattica e organizzativa consentita dall’autonomia delle istituzioni scolastiche, alla didattica laboratoriale e all’utilizzo delle risorse professionali e strumentali disponibili, senza nuovi oneri per la finanza pubblica” (!).
Solo che la legge sull’autonomia è ultramaggiorenne (1999), e non è che ad oggi abbia prodotto mirabilia: tutta ‘sta roba qua (didattica laboratoriale, compresenze, obiettivi trasversali, digitalizzazione – qualunque cosa significhi) è già possibile e sembra perfino vecchia senza che abbia cambiato costumi e coscienze.
Tuttavia oggi quella stanca e trascurata legge potrebbe sortire il miracolo, perché all’ideona dei 4 anni si accompagna la possibilità di stiracchiare l’orario, essendo esso per l’appunto “flessibile”, elastico, malleabile, duttile come la nostra anima.
Sarà sufficiente aggiungere un’ora qua e mezz’ora là, considerare attività didattica anche il tempo studio, la produzione di slides e l’ora della merenda, ed ecco la quadratura del cerchio. Se poi agli studenti, che già ci passano 6 ore a scuola e hanno pure da studiare a casa (se no come lo raggiungono il quinto anno in quarta?) resta da rosicchiare altro tempo senza fermarsi un giro e tornare al via, ecco che Bianchi o chi per lui tira fuori il vecchio caro repertorio, quello degli “insegnamenti curricolari on line, mediante l’utilizzo di piattaforme digitali”.
Ecco che la Didattica a Distanza, uscita dalla finestra dell’emergenza, rientra dalla porta della Scuola Sperimentale.

LA CLASSE NON E’ ACQUA

Concluso il corso di studi speedy, resterebbe sempre il problema di chi non vorrà/potrà scriversi all’università. A ben pensarci però la riforma è dedicata a loro: leggere un libro, speculare su un filosofo, eviscerare una poesia, scervellarsi su un teorema, dibattere su un tema, porsi domande, formulare ipotesi… a che serve se sei rider, commesso, vigilante, cameriere, magazziniere, badante, disoccupato, sottoccupato con le pezze al culo? Tanto, il figlio del padrone mica frequenterà i corsi ridotti.

C’E’ CHI DICE SI’

Per fortuna, e per il momento, le sperimentazioni sono volontarie: si dice NO e si resiste fino all’ultimo, si fanno le barricate, si scrive sui giornali, si convocano le famiglie, se dobbiamo morire lo faremo a testa alta e diremo ai nostri nipoti noi ci abbiamo provato, cose così…
Invece. Invece ci sono scuole – anche a Ivrea città della cultura – che volentieri e a gran maggioranza si autoriducono, attratte forse dal belletto della “flessibilità didattica”, dal feticcio della “didattica digitale”, o dal messaggio pubblicitario, forse dal desiderio di arrivare primi alla meta qualunque essa sia, ché correre è imperativo nel terzo millennio.
Talora il condannato davanti al plotone di esecuzione grida Spara!

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* Quando la satira fa sintesi, guarda qui

FUOCO AMICO: Il 18 novembre il Consiglio Superiore della Pubblica Istruzione ha dato un parere negativo sull’estensione a 1000 classi dei corsi quadriennali.