Se l’intelligenza dell’Intelligenza Artificiale si “disintelligentartificializzasse” ci “disintelligentumanizzeremmo” noi? Una serata ai confini tra tecnologia, etica e progresso.

Norberto Patrignani anima una serata per cercare di fare un po’ di chiarezza sul tema Intelligenza Artificiale e non solo

  La fondazione OpenAI (finanziata da Microsoft ed altri fondi di investimento) ha rilasciato le prime versioni di un sito facilmente accessibile che permette di “interrogare” un “algoritmo che si calibra con tanti dati”. Collegandosi a https://chat.openai.com/auth/login si apre una chat con ChatGPT (Generative Pretrained Transformer), la cosiddetta “intelligenza artificiale”: una fonte di informazioni potenzialmente infinita. Da mesi se ne fa un gran parlare, non solo tra studiosi e appassionati (e tra studenti sempre a caccia di un aiutino), ma dopo che il nostro Garante per la Privacy ha deciso di bloccarne l’accesso in Italia, è diventata un vero caso, sollevando un gran polverone.
Giovedì 13 aprile l’associazione Nuovi Equilibri Sociali, la cooperativa ZAC! e questo giornale, hanno organizzato una serata per cercare di fare un po’ di chiarezza sul tema Intelligenza Artificiale, invitando come oratore il prof. Norberto Patrignani, docente di Computer Ethics alla Scuola di Dottorato del Politecnico di Torino.

Patrignani inizia inquadrando l’argomento delle scienze dell’informatica da un punto di vista storico, partendo dalla famosa macchina di Alan Turing, figura chiave in questo ambito, a cui di recente ha anche dedicato un libro.
Quella macchina oggi la chiamiamo computer e proprio il superamento del “Test di Turing”, cioè la possibilità che la macchina possa ingannare l’essere umano non facendosi riconoscere come tale cancellando così la netta distinzione tra l’uno e l’altra, dovrebbe, secondo Patrignani, farci fermare per interrogarci sulle implicazioni che questo comporta.
Che l’essere umano voglia superare i propri limiti e dare sempre maggior impulso alla conoscenza non è certo un male, anzi, è sempre avvenuto e sempre avverrà, ma fino a che punto ci si può spingere? Possiamo chiamare intelligenza quella di una macchina? Quali sono i rischi nell’affidare ad una macchina così tanto potere? E soprattutto, chi ha in mano davvero quel potere? Chi possiede le chiavi della macchina?
Per rispondere a tutti questi importanti interrogativi, Patrignani ci ricorda che la tecnologia ormai non è più considerata cosa neutra, come lo era fino all’alba degli anni 70, ma bensì strettamente in relazione con la società; che i due ambiti si plasmano e si influenzano a vicenda (cita a proposito gli studi di Deborah Johnson) tanto da fondersi in un intreccio difficile da districare. E ci ricorda anche, per entrare nel vero tema della serata, quale fu la svolta fondamentale che ci ha portato dove siamo ora: quando nel 1996 gli Stati Uniti deregolamentarono per legge il rapporto tra telecomunicazioni e mercato cambiando radicalmente l’idea di eguaglianza e libertà che internet e la sua struttura senza un centro avevano rappresentato fino a quel momento. In un mercato senza regole, le grosse concentrazioni di dati in mano a pochissime compagnie (ben quotate in borsa), vanno a minare le basi di quella conoscenza aperta e inclusiva che la rete aveva significato per i pionieri degli anni Sessanta e Settanta. La studiosa Shoshana Zuboff (2019) intitola infatti un suo saggio: Il capitalismo della sorveglianza, riferendosi al potere dell’informazione detenuta da pochi potentissimi soggetti.
Se il mercato continua ad essere il parametro che misura qualsiasi relazione, anche quella delicatissima uomo-macchina, dobbiamo quindi essere pronti ad affrontarne i conseguenti contraccolpi. Alcuni li stiamo già vedendo e vivendo: l’enorme dipendenza da internet e la fiducia, spesso piuttosto ingenua, che nutriamo nei confronti della rete e delle informazioni che ci offre. Il problema allora non è tanto l’intelligenza della macchina e la sua eventuale somiglianza con quella umana – siamo il Dio che l’ha fatta a sua immagine e somiglianza ed ora teme lo rimpiazzi? Come sembra suggerire anche Slavoj Žižek nel suo saggio Benvenuti nel deserto del reale del 2017 -, quanto invece chi (pochi e ricchissimi) finanzia la programmazione della macchina senza che noi utenti si possa avere accesso e  controllo sui codici di programmazione.

Durante la serata di ChatGPT non si parla, né se ne testa il funzionamento, se ne mette invece in discussione la trasparenza e la possibilità di poterne controllare le tecniche di elaborazione dei dati. È notizia di venerdì (14 aprile), infatti, che un esperto di sicurezza informatica, tal Alex Polyakov, in due ore è riuscito a “rompere le barriere di ChatGpt facendole scrivere testi che vanno contro l’etica, insultano gli omosessuali o contengono qualcosa di illegale”.
Non solo gli algoritmi sono proprietà privata e quindi non a totale servizio della scienza e della conoscenza, ma possono anche essere facilmente violati mettendo in pericolo l’attendibilità dei dati che custodiscono.
Dove sta l’etica professionale degli informatici programmatori?
Altra bella domanda. Sempre grazie alla deregolamentazione del 1996, non c’è inoltre nessuna regola di responsabilità che leghi i detentori di tali dati qualora fossero veicolate informazioni false o dannose, deriva dalla quale solo da pochissimo L’Europa sta tentando di difendersi, ponendo un minimo di argine a tanto potere.
Vediamo tutti i giorni come sia difficile da smentire o confermare una notizia, una volta messa in rete e data in pasto a chiunque. Patrignani cita dati, studi e condivide petizioni accademiche che invita a firmare, cercando di fornire al numeroso pubblico qualche appiglio solido a cui aggrapparsi per chiarirsi le idee o almeno per inquadrare il problema.
Trattandosi di materia senza centro, anche i problemi si diramano in mille direzioni e scappano da tutte le parti.
L’argomento è talmente ampio che si potrebbe andare avanti a parlarne per ore, ma il tempo stringe e si dà spazio alle domande, tutte pertinenti e circostanziate: da chi pone dubbi sull’idea che ci sia una differenza tra il funzionamento dell’intelligenza umana e quello dell’intelligenza artificiale, tanto da non fare poi così tante distinzioni, a chi fa un accenno circa la rivoluzione dell’imminente (forse) arrivo del computer quantico; da chi fa notare che non si è parlato di intelligenza artificiale bensì di questioni di potere a chi si chiede quale sia la reale necessità di una macchina che sostituisce quanto l’essere umano potrebbe fare da solo o in cooperazione con gli altri, cioè sulla necessità di usare tanta energia (eh già, perché i grandi centri dati consumano tantissima energia e questo è un altro bel tema da non dimenticare) per interrogare una macchina su ogni possibile argomento, evitando lo sforzo di elaborare autonomamente le informazioni già ampiamente in circolazione. Per non parlare della perdita di posti di lavoro che tale realtà comporta, in un’economia già molto fragile. Gli argomenti sollevati dalle domande sono davvero tanti. Troppi per una sola serata.

Dovremmo forse organizzare un’altra serata in cui sviscerare meglio le potenzialità di tale macchina, lasciando per un momento da parte le pericolose derive delle concentrazioni di denari e potere del nostro modello economico. Vorremmo tutti continuare a chiacchierare, il prof. Patrignani è una chat umana molto esaustiva e interessante, ma la serata deve finire e quindi ci ripromettiamo di re-incontrarci presto
Rimane nella mente di ciascun presente la domanda: che cosa è davvero l’intelligenza? E se l’intelligenza cosiddetta artificiale si umanizzasse, quella umana si artificializzerebbe?

Lisa Gino