Si scrive Reddito di Inclusione (ReI), si legge “borsa della spesa”

I primi dati regionali sul Reddito di Inclusione confermano l’inefficacia come strumento di contrasto alla povertà

Il 26 marzo 2018 la Regione Piemonte ha presentato i primi dati disponibili del Reddito di Inclusione (ReI), la misura di contrasto alla povertà che, dal 1° gennaio 2018, sta definitivamente sostituendo il SIA (Sostegno per l’Inclusione Attiva) e l’ASDI (Assegno di Disoccupazione).

Il Reddito di Inclusione (ReI) è partito ufficialmente nel novembre dello scorso anno e presenta dei passi avanti rispetto al precedente SIA, per quanto l’impianto concettuale di fondo, ovvero l’unione di un sostegno economico moderato con un progetto vincolante in grado di “attivare” la persona, sia rimasto lo stesso. Tre sono le novità di rilievo: la durata massima del beneficio (si passa da 1 anno del SIA ai 18 mesi del ReI), l’importo erogato (sale da 80€ a 187€ fino ad un massimo di 485€ per nuclei familiari oltre i 5 componenti) e, cosa più importante, l’estensione del servizio ai disoccupati oltre i 55 anni d’età.
Quest’ultima novità sottintende questo: se esci dal mondo del lavoro a quell’età diventi un soggetto a rischio povertà, in quanto non risulti abbastanza anziano per la pensione e difficilmente sarai “riassorbito” nel mondo del lavoro.

I numeri, in sintesi

Al 31 gennaio 2018 le domande pervenute alla Regione Piemonte per poter accedere al ReI sono state 8.143, il 48% delle quali nella provincia di Torino. La raccolta dati evidenzia come l’ambito territoriale che presenta il maggior numero di domande presentate (in proporzione alla popolazione) sia il territorio vercellese, seguito da Casale Monferrato e dall’Area Metropolitana Torino Centro. Le domande presentate dai cittadini italiani sono pari al 68% del totale: l’8% corrispondono a cittadini di altri paesi UE, mentre il restante 24% di cittadini extra-UE.
L’area canavesana presa in considerazione gravita attorno alla città d’Ivrea e conta circa 190 mila abitanti: le domande canavesane pervenute sono pari a 319, ovvero lo 0,17% dell’intera popolazione, collocando il canavese al 17° posto della classifica delle aree prese in esame (un confronto: l’area di Vercelli ha 184.000 abitanti e 664 domande ricevute, pari allo 0,36%).

Quanto è incisivo il ReI per contrastare fenomeni di povertà?

Al 31 gennaio 2018 circa il 50,7% del totale delle domande regionali presentate è stata accolta, mentre le restanti sono state respinte.
Il documento non approfondisce ulteriormente le statistiche, nè tanto meno chiarisce quante sono state le domande complessive accolte nell’area canavesana. Rispettando la proporzione regionale del 50% di domande accolte è presumibile che il dato delle richieste accolte nel territorio eporediese e dell’AMI oscilli tra i 150 e le 170 esiti favorevoli.
La misura di contrasto alla povertà ha pochi mesi di vita, ma ci sono seri dubbi che possa effettivamente aiutare le persone in difficoltà. In primis a causa di molti requisiti “selettivi”: avere un valore ISEE sotto i 6 mila euro, valori immobiliari e mobiliari definiti, non percepire altre indennità, non possedere veicoli immatricolati per la prima volta nei 24 mesi antecedenti la richiesta (se ho comprato un auto nuova 1 anno e 11 mesi fa e nel frattempo l’azienda mi ha lasciato a casa non posso fare richiesta) e, ultimo, ma non meno importante, non possedere navi. Superati questi mille scogli (e altri ancora) il beneficio mensile minimo è di 187,50€, il massimo (con 5 membri in famiglia) di 485,75€ (la precisione centesimale con cui il legislatore ha stabilito questi valori lascia basiti). Contemporaneamente all’erogazione di questo denaro (meramente funzionale alla sopravvivenza, non ad una vita dignitosa) è previsto un percorso di inserimento lavorativo o di attività in grado di “riattivare” i richiedenti del ReI.

È facile immaginare come questi nuclei familiari vivano in situazione di povertà proprio perché già esclusi dal mercato del lavoro e, per questo motivo, è altrettanto facile pensare che il massimo a cui possano andare incontro siano tirocini formativi, stage, corsi di formazione o, nel migliore dei casi, un apprendistato: tutte dimensioni lavorative immaginate per tenere il costo del lavoro basso e funzionali alla riproduzione di working poor, ovvero poveri che lavorano.
La direzione dei ReI non è sbagliata nel ragionamento di fondo: in una realtà nella quale il mercato del lavoro non riesce più a riassorbire tutti quanti sarà necessario studiare nuove forme di reddito alternativo (un “secondo assegno”, immaginavano gli intellettuali negli anni Ottanta). C’è da augurarsi che con il tempo si trovino soluzioni migliori a quella che somiglia molto di più a una “borsa della spesa”, di quelle che Caritas e San Vincenzo distribuiscono da anni.

Andrea Bertolino