Un buco senza nulla attorno? Risposta all’articolo “La scuola è proprio un’altra cosa”

E’ stancante, la Didattica a Distanza.

Piace molto il “prof fuori dal coro. E c’è da domandarsi in che modo si possa star fuori dal maledetto coro e piacere tanto al popolo, ora impegnato a dare addosso al prof: vecchio, noioso, scansafatiche. Come da tradizione.
E’ vero, sì, molti insegnanti si dannano e si dibattono, talvolta scompostamente, per imitare la scuola, magari perché in quella scuola credono proprio.
Ci sarà pure chi interroga, chi fa crudeli verifiche, videolezioni blateranti. Sconveniente.
Ma è vero quel che si dice “in giro” (per la rete, si suppone)?
Che cioè il prof arrivi in postazione, inizi a parlare e parlare e parlare a prescindere dal mondo dall’altra parte? Ma dove? Quando? Chi? Uno, forse, come il bidello che scopava le scale da sotto in su (giuro!, però era uno).
E che i presidi obbligano a fare videolezioni come se fossero monarchi assoluti e non esistesse un Collegio Docenti? Ma chi? Quale collegio rinuncia così ai suoi diritti?
Che il sempliciotto italico prof da barzelletta – quello ignaro che loro, i ragazzetti, han davanti la play e lo smartphone, e dunque prestano un’attenzione da continuamente sollecitare – si ostina a sentirsi parlare come facevano cento anni fa? Ma sì dai, qualcuno ci sarà, forse uno sciocchino che mai prima ha insegnato, o che deve imparare, o a cui non frega niente. Amen, e così sia.
Esiste un insegnante che al mattino, davanti al monitor, non domandi ai suoi allievi come stanno, che cosa pensano, come vivono? Esiste, esistono sempre, e tuttavia condannati a spazzare le scale da sotto in su.
C’è qualcuno che non dia il via all’insopportabile videolezione guardando ansioso i nomi in elenco, nella speranza che nessuno manchi all’appello per non perdere i più deboli lungo questa accidentatissima strada? Ci sarà, povero, mi ricordo una che prendeva gli allievi per l’orecchio e tirava e tirava, disgraziata.

E’ stancante, la Didattica a Distanza,

è perfino fisicamente debilitante (mal di schiena, mal di testa, insonnia, lacrimazione feroce, il tutto unito alla sensazione di non aver mai fatto abbastanza), ma quel che avviene di buono, l’unica splendente consolazione, è questa corrispondenza a tratti nevrotica e spesso affettuosa che avviene tra colleghi: capita che – dopo una giornata a fare e preparare lezioni, correggere compiti ancora al computer, seguire corsi che spiegano come rendere efficace la DaD – intorno alla mezzanotte si improvvisino telefonate di gruppo con colleghi-amici-compagni di viaggio, che si regalano reciprocamente consigli per attività, temi, strategie per coinvolgere, slide e video bellissimi da cui partire per trattare quello e quell’altro tema.
“Ehi, a parte Calvino più privacy più Itaca, che ne dite se andiamo a letto?” “Ecco dai, e la prossima volta si discute dell’uscita, ché i ragazzi hanno paura ora”.
E allora uno poi si arrabbia se sente tromboncini pedanti extracoro che improvvisano prediche dal pulpito, e rivolte a chi poi?
C’è chi fatica di più, chi di meno, ma tutti ci provano e ciascuno è provato, ed è triste e disonesto giudicare dal di fuori un “coro” che ce la mette tutta a costo di un po’ di salute.

A meno che.

A meno che la solfa non sia ancora quella, decrepita ma che sempre fa simpatia, della scuola che non deve insegnare ma aiutare, avviare, accompagnare, babysitterare, socializzare, vezzeggiare. E fine. Sottraendo ai giovani la gioia di imparare, la fatica di conoscere, lo studio talvolta “matto e disperatissimo” eppure felice.
Gettando ai pesci spiriti geniali come Dante, ironici come Ariosto, tormentati come Foscolo, lucidi come Leopardi.
Privando gli studenti della Bellezza del pensiero libero, del dialogo illuminante.
Una bella, perenne chiacchierata, un buco senza nulla attorno.
Questa dev’essere, la Didattica a Distanza? Basta saperlo, anche perché sarebbe molto più riposante.
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