“Un gesto molto più umano che ti dia il senso della violenza”

Sullo sgombero dell’Asilo occupato di Torino: cercare di capire e analizzare situazioni e realtà che potremmo non conoscere per davvero

Ora che la stampa e la politica hanno esternato la loro quotidiana dose di banalità e luoghi comuni, credo sia il momento di un’analisi più approfondita su ciò che è accaduto in questa settimana nel capoluogo piemontese: con un’imponente azione di polizia che ha paralizzato il quartiere per tre giorni circa, rendendo difficoltoso anche ai residenti raggiungere le proprie case, giovedì sera, dopo ben 23 anni di attività, è stato sgomberato l’Asilo Occupato, centro sociale di matrice anarchica sito in zona Aurora. Questo nonostante la strenua resistenza degli occupanti, alcuni dei quali si sono barricati sul tetto dell’edificio per 48 ore.

Sabato, due giorni dopo lo sgombero, un corteo di solidarietà di circa 1500-2000 persone (anarchici e non) blocca per qualche ora il centro cittadino causando una quantità di danni alle cose tutto sommato modesta ma di grande impatto mediatico, contro cui si scatenano subito i commenti del questore Messina, della sindaca Appendino e della politica politicante tutta. Si parla dell’Asilo Occupato come di un covo di terroristi pronto a sovvertire l’ordine democratico, sei persone per l’esattezza vengono arrestate con l’accusa di aver organizzato azioni sovversive contro i CPR, centri di permanenza e rimpatrio (ex-CIE, centri di identificazione ed espulsione), due dei quali con l’accusa di aver piazzato ordigni esplosivi davanti ad uffici postali torinesi.

A due giorni di distanza dal corteo la tensione non accenna a placarsi: domenica un corteo sotto il carcere dove sono detenuti gli arrestati dei giorni precedenti, lunedì l’occupazione dell’aula bunker delle Vallette dove stava avvenendo il processo per l’operazione “Scripta Manent” riguardo l’azione di alcuni anarchici legati alla Fai-Fri (Federazione Anarchica Informale, organizzazione internazionale con lo stesso acronimo della Federazione Anarchica Italiana).

Ma questa è pura cronaca dei fatti e non un’analisi. Non si può avere una reale comprensione di ciò che sta accadendo nel quartiere Aurora semplicemente leggendo i giornali, bisogna fare qualche passo indietro:
dopo il 2006 l’area a nord del fiume Dora, chiamata in parte Aurora in parte Barriera di Milano, è divenuta “interessante” per i vari progetti di cosiddetta riqualificazione già precedentemente attuata, con una sinergia di interventi pubblici e privati, in alcune aree centrali come Quadrilatero, San Salvario, Vanchiglia.
Perché interessante? È vicinissima al centro, ha numerosi vuoti urbani lascito di decenni di abbandono post-industriale, ha un tessuto residenziale denso composto da tantissimi piccoli proprietari che negli anni si è molto etnicizzato, perdendo di valore immobiliare. È tuttavia la stessa area che ospita un’ampia riserva di popolazioni povere e marginalizzate, sia straniere che autoctone: ha un’aspettativa di vita più bassa del centro, gravi problemi di salute, reddito e condizioni di vita. In questa zona si son fatte spazio diverse iniziative importanti come università pubbliche e private, nuovi edifici iconici e commerciali (Lavazza, ex-Incet), il cui effetto concreto è di muovere il mercato degli affitti e dei relativi commerci: questo fenomeno, studiato e sicuramente meglio esplicato dal professore dell’Università di Torino Giovanni Semi, sociologo degli spazi (i cui libri consiglierei a tutti di leggere), si chiama gentrificazione. Nel concreto si prende un’area definita “degradata” e si porta avanti un modello di “riqualificazione” il cui effetto è quello di far alzare il costo degli affitti, a vantaggio di palazzinari e grossi consorzi finanziari e sulla pelle di tutta quella popolazione povera costretta in questo modo a spostarsi in zone sempre più marginali della città, una sorta di deportazione soft. Un esempio su tutti di questo fenomeno è la volontà espressa più volte dall’amministrazione comunale di voler trasferire il mercato delle pulci o suq o Barattolo in una nuova sede in via Carcano (in pratica sancendone la fine), nonostante le proteste dei mercatari e di quelle migliaia di persone che ogni sabato si ritrovavano li per fare acquisti ad un prezzo più accessibile. Quello che viene ogni giorno chiamato “degrado” altro non è che povertà e marginalità, problemi che non si risolvono pulendo muri o aprendo localini, ma con un serie di aiuti sociali alle classi più disagiate e indigenti, cosa che a livello elettorale porta poca visibilità e consenso: meglio fare come per San Salvario, trasformato da quartiere malfamato a centro della movida (per chi se la può permettere), ma i cui problemi di spaccio e criminalità sono tutt’ora presenti sotto la patina brillante della città vetrina.

Dentro Aurora-Barriera però si sono sviluppati alcuni spazi di critica radicale frutto di ricerca, studio e molto lavoro politico: radio indipendenti, sportelli per la casa e attivismi, tra i quali il più importante e longevo era proprio l’Asilo occupato sito in via Alessandria. Nonostante gli ipocriti articoli di giornali sia di destra che di sinistra non facessero che ripetere quanto il quartiere fosse oppresso dalla presenza di questo pericoloso centro sociale, intervistando per l’occasione esponenti di Fratelli d’Italia e piccoli proprietari locali ma guardandosi bene dall’intervistare quelle centinaia di persone in emergenza abitativa, immigrati e non, che già normalmente rifuggono i giornalisti e per questo risultano invisibili all’opinione pubblica, l’Asilo si prodigava per tutte quelle lotte che non trovano spazio nell’agenda politica: le lotte per la casa, supportando le numerose occupazioni abitative di interi nuclei familiari indigenti che, incapaci di pagare l’affitto, rischiavano di finire per strada, come tanti poveri prima di loro che han preferito affrontare il freddo che la polizia, e che oggi passano l’inverno abitando dentro i sacchi a pelo. Le lotte contro i CPR, le cui condizioni di vita deplorevoli sono ben note a tutti da anni ma per i quali la politica non ha mai fatto nulla, lotta portata avanti anche con metodi poco ortodossi, come il lancio di accendini e volantini grazie ai quali sono state possibili le rivolte dei migranti, e per i quali la polizia ha definito l’Asilo “eversivo”. Sono proprio i metodi utilizzati da questo movimento ad essere sotto la lente d’ingrandimento dell’ipocrisia collettiva, a cominciare dalle dichiarazioni della sindaca Appendino, che definisce antidemocratiche le violenze di piazza di sabato, dimenticandosi come il suo partito faccia il filo, peraltro fallendo miseramente, al movimento dei gilet gialli i cui metodi sono e son stati ben più distruttivi. Ma l’M5S non si è mai distinto per una grande coerenza interna, dimostrando ancora una volta la linea politica dei due pesi e due misure.

Ipocrite sono le dichiarazioni del questore Messina, che si stupisce della solidarietà espressa all’Asilo da ambienti dell’autonomia tradizionalmente più lontani da esso (vedi Askatasuna, Gabrio, No Tav, Non una di Meno), dimostrando di non conoscere fino in fondo il concetto di solidarietà, e che si affretta a ribadire come in piazza ci fossero persone addestrate militarmente, non solo quindi mentendo spudoratamente ma tentando goffamente di creare divisioni interne al movimento, dividendo ancora una volta i violenti dai non violenti, i “terroristi” dai militanti. Ci penserà Pasquale “Lello” Valitutti, memoria storica dell’anarchia italiana e unico testimone non appartenente a nessuna forza di polizia presente nel piano della questura da cui venne “suicidato” Pino Pinelli, a riportare un po’ di chiarezza spiegando come, nonostante i litigi e le divisioni interne, il movimento si ricompatta quando attaccato da una minaccia esterna. Curioso come nei momenti di maggior crisi per lo Stato italiano riappaiano i fantasmi della strategia della tensione, di cui gli anarchici risultano sempre le prime vittime.

Ipocrite sono, anche se credo in buonafede, le dichiarazioni di tutti quelli che appena leggono su di un giornale i racconti spesso gonfiati riguardo le violenze di piazza, subito si affrettano a condannare e distanziarsi da lotte con le quali sono magari anche d’accordo: nessuna maglietta rossa aiuterà davvero gli immigrati nei CPR lager, nessuna raccolta firme fermerà la gentrificazione selvaggia, nessuna triste manifestazione dell’ANPI fermerà il governo attuale dall’attuare forme di repressione sempre più reazionarie e disumanizzanti.

“La violenza non è mai giustificabile” è un luogo comune che si possono permettere di dire le persone verso le quali lo Stato non si è mai mostrato realmente aggressivo, perde di senso se si vivono quotidianamente situazioni di marginalità e ingiustizia: la reazione allo sgombero dell’Asilo occupato, con tutte le violenze di piazza che ha comportato, è in realtà un gesto molto più umano, difficile da comprendere se non si conosce la quotidianità del quartiere, fatta di povertà, brutalità poliziesca e arte di arrangiarsi.

So che non tutti si troveranno d’accordo con queste affermazioni, citando il sempre attuale de Andrè “bisogna farne di strada, da una ginnastica d’obbedienza”, ma sarebbe utile se, quando si sente parlare di questo genere di argomenti , vi fosse uno scatto intellettuale, almeno un tentativo di analisi: senza giustificare né appoggiare metodi che non fanno parte della propria cultura politica e umana, forse si potrebbe pensare che se qualcuno da anni porta avanti lotte sociali, pagando sempre a caro prezzo e in prima persona (in termini di multe, denunce, anni di galera, botte e boccate di gas CS), ecco forse si potrebbe aspettare almeno un momento per giudicare e condannare, e si potrebbe spendere un secondo in più a cercare di capire e analizzare situazioni e realtà che potremmo non conoscere per davvero.

lz