Un treno che dovremmo perdere, ora lo dice anche la Corte dei Conti europea

Il rapporto della Corte dei conti europea boccia il Tav: inutile e troppo costoso

“I megaprogetti di trasporto cofinanziati dall’UE sono grandi progetti aventi dimensione transfrontaliera. Nella presente relazione sono chiamati “infrastrutture-faro nel settore dei trasporti” (IFT). Si tratta di collegamenti cruciali per il completamento della rete di trasporto dell’UE. Le IFT costano ognuna più di 1 miliardo di euro e ci si attende che apportino benefici socio-economici”

Incipit del rapporto della Corte dei conti europea sulle infrastrutture di trasporto dell’UE

Dopo i mesi in cui il coronavirus ha spazzato via dal dibattito pubblico qualsiasi altro tema, mesi in cui i media hanno relegato forzatamente questioni centrali dal dibattito pubblico a battibecchi da tempo di pace, la Corte dei conti europea, istituzione con funzioni di controllo sul come vengono spesi i fondi dell’Unione, ha pubblicato il 16 giugno il rapporto di valutazione dei megaprogetti co-finanziati dalla commissione UE. Questo rapporto ha finalmente riportato al centro dell’attenzione mediatica la seconda linea ad alta velocità Torino-Lione, confermando come le critiche scandite a gran voce dal movimento No-Tav negli ultimi 20 anni fossero tutt’altro che prive di fondamento.
Prima criticità fra tutte il fattore tempo, dato che il progetto è in ritardo di ben 15 anni sulla tabella di marcia e l’attuale termine fissato per l’inaugurazione, il 2030, è giudicato dalla stessa Corte “irrealistico”, nonostante il progetto sia iniziato nel 1998. Per non parlare dell’aumento netto dei costi previsti, passati da una stima iniziale di 3,8 miliardi per arrivare oggi a 9,6 miliardi presunti. Un incremento di 4,4 miliardi, il più alto tra le otto IFT prese in considerazione nel rapporto, dovuto all’ampliamento del progetto iniziale che prevedeva una sola canna nel tunnel, mentre oggi ne prevede due. Un ampliamento dovuto alla tendenza dei promotori, indotta dagli ingenti co-finanziamenti europei e riconosciuta dalla Corte stessa, a proporre progetti sempre più grandi senza che ve ne sia realmente bisogno e ad una sovrastima dell’utilizzo della struttura stessa.
Questo si collega direttamente con un’altra grossa criticità esposta nel rapporto, le previsioni di incremento del traffico, figlie della mancanza di politiche vincolanti in questo senso e giudicate dalla Corte fin troppo ottimistiche, previsioni che hanno visto la propria credibilità sgretolarsi di anno in anno con il graduale abbassamento o ristagno del numero di scambi e passaggi di merci tra Italia e Francia, mentre anche sull’uso come linea passeggeri si parla di “sostenibilità economica incerta sul lungo termine” visto in mancato raggiungimento del bacino di utenza minimo perché sia considerabile conveniente (almeno 9 milioni di persone a meno di 60 minuti dall’infrastruttura, mentre sulla tratta si arriva a 7,7 milioni).
Anche sul fattore dell’impatto ecologico non sembrano emergere dal rapporto i benefici tanto millantati dai sostenitori del Tav, anzi si stima che i vari cantieri produrranno 10 milioni di tonnellate di CO2. Nonostante i promotori parlassero di uno spettacolare incremento del 700% del traffico su rotaia entro 25 anni dall’inizio dei lavori a compensare queste 10 milioni di tonnellate, le stime soffrono dello stesso cieco ottimismo delle previsioni riguardanti l’incremento dei commerci, ed una stima più recente e realistica presente nel rapporto e che tenga conto anche dei notevoli ritardi accumulati parla di 50 o forse più anni, un lunghissimo periodo in cui la Val Susa e il territorio torinese verrebbero inondati di inquinamento. E basta respirare l’aria di Torino oggi per capire come questa opzione non sia sostenibile.

Vi è in fine un ultimo punto, a cui si dà un’importanza marginale ma che forse necessiterebbe di più attenzione. Nel documento si fa presente come il rapporto con gli “stakeholder” (tradotti nella versione italiana come “portatori di interesse”, sostanzialmente gli abitanti delle zone dove si intende costruire una IFT) sia di molto migliore quando la loro opinione viene presa in considerazione ed essi stessi vengono coinvolti nel progetto. All’interno del documento, che porta anche alcuni esempi di gestione di IFT in cui i cittadini sono stati coinvolti anticipatamente e in modo trasparente, producendo effettivi benefici dal punto di vista sia della sostenibilità ecologica dell’opera sia del punto di vista del sostegno della popolazione locale alla costruzione della stessa, il caso Tav viene descritto come particolarmente critico, un vero esempio di come non si dovrebbe agire. E questo chiunque abbia preso parte, direttamente o meno, alla lotta No-Tav lo può confermare senza ombra di dubbio: repressione giudiziaria, demonizzazione e denigrazione sistematica da parte dei media, brutalità poliziesca e intimidazioni di ogni sorta sono state all’ordine del giorno negli ultimi 20 anni di lotta.

Nonostante questo (o forse grazie a questo?) il movimento No-Tav ha continuato ad allargarsi divenendo una lotta trasversale e condivisa, il movimento di popolo più duraturo e attivo nell’Italia del terzo millennio, ricevendo per contro quasi nessuna forma di ascolto a livello governativo.
A voler essere onesti si potrebbe anche dire che le considerazioni e le critiche presenti nel rapporto della Corte dei conti non siano nulla di nuovo, anzi sono affermazioni che il movimento No-Tav sostiene praticamente dalla sua fondazione. La novità e il fulcro dell’interesse non sta quindi tanto in cosa dice questo rapporto, bensì in chi lo dice: la Corte dei conti europea non è una militante No-Tav, né il rapporto un comunicato stampa del movimento, non è un gruppo ecologista né un gruppo anarchico anti-tecnologista.
Dal rapporto non appare nessuna critica al modello dei megaprogetti di trasporto, che anzi continuano ad essere ritenuti necessari, né traspare alcuna critica ad un sempre più insostenibile modello di perenne ed inarrestabile crescita economica e tecnologica. La posizione della Corte dei conti si può intuire in effetti fin dalla definizione di queste cosiddette grandi opere, Tav compresa, come “infrastrutture-faro nel settore dei trasporti” (IFT): una definizione in realtà estremamente romantica, una visione del futuro che si nasconde sotto una falsa patina di tecnicismo e realismo ma che alla prova dei fatti risulta quanto di più irrealistico e ideologico concepibile, quasi fondamentalista.
Il fatto che siano proprio queste istituzioni, naturalmente pronte a proteggere ideologicamente questo tipo di progetti, a muovere critiche al Tav definendolo, pur con grande dispendio di tecnicismi, un inutile spreco di soldi, porta davvero a chiedere di cosa abbia ancora bisogno lo Stato per decidersi una volta per tutte a smettere di sprecare soldi e suolo pubblici, bloccare il progetto Tav e reindirizzare le risorse verso altri progetti sociali e ambientali rivolti alle comunità e alle persone, soprattutto in un periodo come questo in cui servirebbero sì “grandi opere”, ma per la sanità e l’istruzione, contro le disuguaglianze sociali e il dissesto idrogeologico. Questi sarebbero megaprogetti utili e necessari, non certo un’opera come il TAV che si propone (tra dieci o venti anni) di ridurre di poco più di un’ora il tempo di trasporto delle merci tra Torino e Lione.

Lorenzo Zaccagnini