Un’altra impresa è possibile

Intervista ai titolari di Aethia Srl, piccola azienda del settore informatico con un’idea etica di fare impresa, dall’uso di tecnologie “aperte” a un criterio responsabile di selezione e gestione dei collaboratori

Aethia si è incrociata con varieventuali un paio di anni fa quando decise di regalare all’associazione Rosse Torri il rifacimento e l’hosting del sito rossetorri.it. Non si trattò di un caso isolato, ma di un tratto proprio di Aethia: dedicare una parte delle sue risorse economiche e umane per progetti che i soci, ma anche i collaboratori, ritengono degni di sostegno.
Sul nostro giornale scriviamo spesso dell’esigenza di un’im­prenditoria “sana” che non abbia attenzione solo alla massimiz­zazione dell’utile, ma che cerchi di mettere in pratica un modo sostenibile, democratico, aperto di fare impresa. Siamo quindi lieti di raccontare l’esperienza imprenditoriale di Aethia.

Ci dite in due parole chi è Aethia?
Aethia è un’azienda nata nel 2000 che opera nel settore informatico del calcolo ad alte prestazioni, siamo insediati fin dalle nostre origini nel Bioindustry Park “Silvano Fumero” di Colleretto Giacosa. Aethia è una delle prime realtà ad aver proposto in Italia la tecnologia del cluster computing [insieme di computer connessi fra loro sui quali si distribuisce l’elaborazione dei dati, ndr].
Forniamo in sostanza piccoli supercomputer a gruppi di ricerca in università, centri di ricerca e imprese. Siamo specializzati nel dotare i sistemi del software necessario, anche sviluppato al nostro interno, per fare simulazioni, calcoli e gestione di grandi quantità di dati, oltre a fornire assistenza e consulenza. Siamo una micro-impresa con otto addetti, fra i quali i due soci titolari che lavorano in azienda, e un fatturato di circa 700.000 euro.

In Aethia utilizzate unicamente software libero, sulle postazioni di lavoro interne e sui grandi sistemi che vendete ai vostri clienti, è una scelta economica o c’è di più?
Aethia ha scelto di operare in un settore, quello dei cluster di computer, che è da sempre strettamente connesso ai principi dell’open-source e con l’idea che le tecnologie informatiche sia hardware che software dovrebbero essere aperte e libere.
I cluster infatti sono nati come una sorta di ribellione tecnologica nei confronti delle grandi multinazionali che proponevano super­computer estremamente costosi e proprietari. Privilegiare soluzioni aperte, quindi utiliz­zabili liberamente da tutti, è per noi un modo per operare con un giusto equilibrio tra sviluppo tecnologico, etico ed economico. Per questo abbiamo scelto di utilizzare il software open-source in azienda e di proporlo ai nostri clienti. Oggi stiamo cercando di compiere questo percorso in modo meno solitario e di fare rete con altre realtà, come ad esempio l’Accademia dell’hardware e del soft­ware libero “Adriano Olivetti” di Ivrea, con cui collaboriamo da alcuni anni.

Dedicate parte delle vostre risorse umane ed economiche per sostenere progetti di associazioni diverse. Cosa vi spinge a rinunciare alla ricerca del massimo profitto che certo queste iniziative non facilitano.
Il punto fondamentale, secondo noi, è cosa un’azienda privata decide di fare del profitto che per sua natura è orientata a produrre. Oltre ai dividendi e al reinvestimento nell’azienda, abbiamo scelto di creare anche un minimo di ricaduta esterna, in considerazione del fatto che l’azienda non è fine a se stessa ma è inserita in una comunità. Per questo ci siamo dati la regola di destinare una parte dell’utile al sostegno di progetti esterni, principalmente orientati alla tutela delle categorie più svantaggiate e dei diritti. Siamo una piccola realtà e si tratta di piccoli interventi, ma in questo modo riteniamo che l’azienda sia più ricca (naturalmente non in senso economico).

Capiamo quindi che un altro modo di essere imprenditori è possibile … Anche come datori di lavoro mettete in campo la vostra idea etica del lavoro?
In linea con questa filosofia crediamo nel valore della condivisione della conoscenza, e per questo, nel caso ad esempio di percorsi di apprendistato o stage, cerchiamo di conciliare le agevolazioni che ha l’azienda con reali opportunità di crescita per le persone.
Anche gli inserimenti lavorativi, ognuno dei quali è oggi un grande impegno per una micro-impresa, sono sempre avvenuti cercando di costruire, magari con gradualità, le condizioni per renderli stabili e duraturi, piuttosto che per coprire picchi di lavoro o approfittare delle opportunità del momento.

Cosa dovrebbe fare il nostro territorio, imprenditori e istituzioni, “patria dell’informatica” per produrre modelli virtuosi dove l’informatica aperta e libera sia lo strumento per uno sviluppo sostenibile?
Secondo noi il tema trova in questo territorio una connessione speciale grazie alla sua continuità con quello che è stato il pensiero olivettiano.
A nostro avviso questo luogo avrebbe l’opportunità di diventare un polo di eccellenza sui temi dell’informatica aperta e libera.
Basta citare Arduino per mostrare che esistono già esperienze molto forti in questo senso.
E poi la già citata Accademia del software e del­l’hard­ware libero “Adriano Oli­vetti”, che ha fatto emergere e che incarna pienamente quest’idea. Concentrando le risorse delle istituzioni e delle realtà locali sul sostegno dell’Accademia, nella direzione di rafforzare un polo formativo e centro di competenza e ricerca sui temi del­l’open-source e open-hardware, crediamo che si potrebbe innescare un processo virtuoso che permetterebbe di fare rete sul territorio coinvolgendo realtà esistenti e nuove.

Ringraziamo Gianpaolo Perego e Marina Borra, titolari di Aethia, per l’intervista, per il loro impegno ad essere impresa socialmente responsabile … e per aver dato ospitalità sui loro server al nostro varieventuali online sul sito rossetorri.it

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