Un’italiana a Londra tra ansia e paure

Martedì 7 aprile Londra. Ieri sera Boris Johnson è stato ammesso in terapia intensiva. Ho l’impressione che abbiano cercato di minimizzare il suo stato di salute vero ormai da giorni se non da settimane.
Avevo preso la decisione di non evitare treni metro e autobus già qualche giorno prima che il governo britannico annunciasse il lockdown generale.
Vivo a Londra, sono psicoterapeuta libera professionista e per lavorare fino a un mese fa attraversavo Londra da sud a nord, da est a ovest.
Oggi il mio lavoro è dimezzato poiché non posso continuare a lavorare con gli adolescenti nelle scuole. Da quando è iniziata la pandemia e l’Italia ha cominciato a chiudere le frontiere, prima regionali e poi nazionali, vivo in uno stato d’ansia continuo.
Mi rendo conto che digrigno i denti giorno e notte. Questa ansia che mi accompagna ormai da settimane non la riconosco, non mi ci ritrovo, è un sentimento alieno. L’unico modo che ho di combatterlo è andare avanti, guardando solo alla giornata davanti a me.
Da un paio di settimane il centro di riabilitazione per il recupero dalle dipendenze di droghe/alcol per cui lavoro, si è organizzato online e i gruppi di terapia sono ripresi.
Non mi lamento, così ho qualcosa su cui focalizzare la mia giornata. Gli utenti ci mandano mail di ringraziamento per non averli lasciati soli. Questi sono messaggi importanti per tutti noi terapisti, messaggi che ci fanno andare avanti.
Mi rendo conto però che la terapia in tempi normali fatta in una stanza anche se piena di utenti è stancante, quella online è stremante. Anche fisicamente molto più del solito. Generalmente usavo i viaggi di spostamento tra un impegno e l’altro per sgomberare la mente e lasciarmi alle spalle tutto ciò che avevo assorbito durante il lavoro. Adesso non ci riesco molto. Neppure Netflix ha il fascino del prima del lockdown.
Tutte le attività che potrei fare online, aerobica, il coro, gli appuntamenti per un aperitivo virtuale con gli amici non mi attirano molto dopo una giornata passata a parlare ad uno schermo. Pensare di fare una lezione di yoga online diventa impensabile. E c’è anche chi si lamenta della connessione online che ho, perché non è sempre cosi nitida e perfetta.
Potrei uscire a fare una passeggiata, “la passeggiata di Boris”, ma ci sono troppe persone fuori e sembra difficile mantenere le distanze sociali.
C’è un silenzio strano eppure non cosi silenzioso sembra un silenzio rumoroso. Durante i funerali della principessa Diana c’era un silenzio incredibile, come se il mondo si fosse fermato. Oggi nonostante il lockdown non è cosi.
Nell’ultimo fine settimana hanno chiuso il parco vicino casa. Sembra che i britannici, gli inglesi, non si rendano conto della gravità della situazione e cosi quando è uscito un po’ di sole sono andati tutti al parco a farsi l’abbronzatura e a socializzare con picnic vari.
Qui pare tutti prendano tutto un po’ con leggerezza, con il motto del “keep calm and carry on”; specialmente a Londra dove c’è sempre questo senso di stoicismo in cui nessuno e niente si ferma mai neppure con le bombe e il terrorismo; e intanto 10 autisti di autobus sono deceduti di Covid19.
La mia famiglia è in Italia come quella di tanti altri amici connazionali. L’impossibilità di scelta di poter andare o meno ad aiutare ad accudire mia madre e dare sollievo a mia sorella porta dei sensi di colpa immensi. La paura che possa succedere qualcosa di grave e finale contribuisce all’ansia. Così mi sono ritrovata ieri a fare la spesa una spesa enorme. Mi sono resa conto che negli ultimi giorni mi sono ritrovata ad accumulare cibo, una scatoletta alla volta. La dispensa è stracolma e così anche frigo e freezer.
Sono fortunata, ho un giardino, ho compagnia. Divido la casa con mia figlia, che è tornata dopo che hanno chiuso le università e con un’inquilina figlia di amici italiani, anche loro come me ex-olivettiani.
Lei lavora in ospedale e ogni giorno che esce c’è sempre l’ansia e la paura non detta, di andare in ospedale a fare il proprio turno, di non sapere dove la metteranno e del ritorno a casa e di cosa potrebbe aver portato con sé.
Domani è un altro giorno, si vedrà.

Un abbraccio da Londra Gabriella