Uno shock, questo sono stati quei giorni di Genova

Ho ricordi confusi dei mesi che precedono quel luglio. Negli ultimi anni si erano create relazioni con molti genovesi attivi nel comitato contro la Mostra Navale Bellica ed ero stato spesso da loro, in occasione della formazione dei gruppi di affinità che avevano partecipato alle azioni di blocco della inaugurazione della Mostra. Per questo, nei mesi dell’inverno e della primavera 2001, ci sentivamo di frequente, molti di loro erano molto attivi nel Genova Social Forum.

Avevo seguito così, senza poter partecipare direttamente, tutto il lavoro di un movimento cresciuto in fretta ma che aveva radici solide ed era molto ampio e variegato. Per diverse ragioni non ero riuscito neppure ad organizzarmi per essere a Genova nei giorni del G8. Le telefonate e i messaggi di amiche e amici mi facevano sentire lì con loro e mi tenevano aggiornato. Erano contenti la sera del giovedì, dopo la manifestazione dei migranti che era stata bella, potente e tranquilla.

Ma molti, molte di loro, preoccupati per il giorno dopo. Conoscevano bene Genova e temevano che alcune situazioni fossero particolarmente a rischio. Soprattutto il corteo dei disobbedienti, che arrivava dal Carlini, doveva passare in un corridoio che poteva diventare una trappola.

I messaggi e le telefonate che sono iniziati ad arrivare la mattina dopo hanno subito cambiato tono. Le notizie da piazza Manin, dove si concentravano le associazioni e i gruppi di rete Lilliput, erano angoscianti. Cariche pesantissime, pestaggi e violenze. A fine mattinata la preoccupazione angosciata per qualcuno sparito, con cui non si riusciva a stabilire nessun contatto. Tutto diventava più tragico col passare delle ore. Angosciante la paura che si sentiva al telefono quando si riusciva a parlare con qualcuno. La notizia della morte di Carlo Giuliani è arrivata come una mazzata attesa. Lì abbiamo deciso che, sistemate le bambine, dovevamo partire. Il giorno dopo dovevamo essere a Genova. Volevamo cercare di vedere gli amici e le amiche e volevamo esseri lì, non cera altro da fare. C’era qualche posto sui pullman che partivano da Ivrea.

La manifestazione di sabato mattina scorreva sul lungomare, tesa, poche cose da dire con gli amici che riuscivamo finalmente a incontrare, un abbraccio e alcune indicazioni su cosa fare quando saremmo arrivati vicino alla Fiera. Sapevamo bene che a piazzale Kennedy, dove il corteo doveva svoltare, lasciare il lungomare e andare verso il centro, poteva essere caricato per scioglierlo. Arrivato sotto Forte San Giuliano, il comando dei carabinieri dove si diceva fosse presente qualcuno del Ministero dell’Interno, la conferma alle preoccupazioni. A piazzale Kennedy erano partite le cariche. Il corteo era ormai fermo e veniva caricato in più punti. Gente pestata scappava. Abbiamo iniziato a scappare anche noi, cercando  vicoli e passaggi per passare oltre. La paura più forte mai provata ad una manifestazione. Era chiaro che non si cercava di mantenere l’ordine, si voleva farla pagare cara a tutti coloro che erano nelle strade. Mai provata così netta la sensazione di essere braccato. Conoscevamo abbastanza bene quella zona e siamo riusciti a passare oltre, a raggiungere il corteo che si era ricomposto. Ci siamo ritrovati in uno spezzone di Emergency. Vedere Gino Strada tesissimo e preoccupato di riuscire a tenere lo spezzone compatto mi aveva impressionato, lui che era abituato a situazioni di guerra. Dai balconi la gente applaudiva e gettava acqua a rinfrescare. Mi sembrava incredibile che i genovesi non fossero incazzati neri perché oggettivamente la città ne aveva visto di tutti i colori. Incazzati lo erano, ma non con chi manifestava.

Uno shock, questo sono stati quei giorni di Genova. Un brutale atto di guerra che ha raggiunto il suo obiettivo: indebolire il movimento contro la globalizzazione liberista. Hanno vinto loro e oggi è evidente che tutto quello che prevedevamo è successo, il liberismo ha vinto ed il mondo è più ingiusto e vicino al collasso.

Possiamo dire di avere perso allora ma di non essere arresi?

Filippo Alossa