Valentina Pedicini (1978 – 2020) – In memoriam, 2

Valentina Pedicini (1978 – 2020) – In memoriam, 2: “Faith”, film documentario, 2020; “Pater Noster” film doc., 2008.

Regia e sceneggiatura: Valentina Pedicini; fotografia: Bastian Esser; montaggio: Luca Mandrile; musica: Federico Campana; b/n; 94′; prod.: (Donatella Palermo),  Rai Cinema-Stemal Entertainment; Italia, 2020; DocsBarcelona 2020 Miglior Documentario. Anche: David Tort – Yo Te Prefiero (feat. Dennisse Jackson), 2018

In principio fu un trailer. Era l’anteprima di  “Faith”. Il trailer dura 2.40′. E’ in bianco e nero. L’autrice è Valentina Pedicini. Immersi nella penombra e illuminati con un’elettrizzante luce stroboscopica, degli uomini e delle donne vestiti di bianco ballano con forza in uno stato di trance; una musica martellante e potente ritma il movimento. Una voce in spagnolo in sottofondo recita: “Quiero escribir mi poesía en las páginas de tu piel/Pintar mi futuro en los lienzos de tu alma/Quisiera dormir en tus latidos/Y despertar con tu mirada…”.  Buum, buuum, buumbuum, buuum, bumbum buuum…un uomo grida: “non vi sentooo!…” , “occhioooo!!”, “la respirazioneeeee!!!”, e “adessooo…via!!!”; gridano e saltano, il suono è psichedelico, techno-house, acido.  Buum, buuum… Suoni che evocano tempi da hippies e da sballo amfetaminico. Infatti somiglia molto a “Hey Boy Hey Girl”, il mitico singolo del 1999 dei The Chemical Brothers, puro AcidHouse, buum, buuum, buumbuum, buuum, “non vi sento!!!” , buum, buuum, buumbuum, buuum, , “occhiooo!!”, buuum, buumbuum, “la respirazioneeeee!!!”, buuum, buumbuum, buum, “e adessooo…”, buum, buuum, buumbuum, buuum, “via!!!”,buum, buuum… la musica, la musica, buum, buum…; il pezzo è “Yo Te Prefiero”, del 2018 del conosciuto DJ techno-house David Tort.

Mediante il trailer coinvolgente di  “Faith”  entrai in contatto con il cinema di Pedicini. I danzanti discotecari fanno parte di una comunità monastica cristiana, vivono isolati e la dura disciplina del corpo è essenziale per raggiungere i loro obiettivi mistici. Persone aggreganti della comunità sono Laura Perrone, multicampionessa del mondo di Kung-Fu, maestra di Kickboxing e Taiji,  e Corrado Lazzarini, maestro di Kung-Fu e Commissario Tecnico della nazionale italiana per anni.

C’è però, prima del trailer, un cortometraggio documentario: “Pater Noster”. Undici anni prima di “Faith”, mentre studia cinema documentario nella scuola Zelig di Bolzano, Pedicini conosce Laura Perrone, allora una ragazza/una giovane donna/una giovane,  e realizza, con l’aiuto dei tecnici della scuola,  “Pater Noster” come saggio scolastico. Il corto, a colori, 18,35′, documenta la transizione di Laura da competitiva ed estroversa campionessa mondiale a raccolta partecipe della comunità monacale che presiede Lazzarini, suo allenatore da anni. “Io sono un guerriera e lui è il mio capo”, dice. “Pater Noster esprime un mondo duro ma nel contempo pieno di tenerezza. La regista accarezza con la cinepresa i volti, gli sguardi, i gesti, i silenzi, gli ambienti. Tutto è permeato del senso di fiducia e di amicizia. Ci si emoziona un po’ davanti al racconto di Pedicini, alla lieve bellezza e all’armonia delle sue immagini.

Poi, undici anni dopo, appunto, è arrivato “Faith”, il lungometraggio. La comunità monacale protagonista di  “Pater Noster” si è trasferita da Bolzano ad un casolare delle Marche. Pedicini torna da loro, di nuovo con l’aiuto della scuola Zelig (la fotografia è adesso come allora di Bastian Esser) e costruisce mediante scene del loro quotidiano un racconto molto attraente. Una soffice penombra permea tutto, la luce qui, quando c’è,  può essere penetrante e decisa, liberata da una fessura, come il solco che fa la lama di un coltello santoku, o accecante come i lampeggi di uno stroboscopio o soffice, come filtrata da una carta di  fusuma. Il mobilio (arredi, decorazioni o immagini di santi) non sembra avere una valenza simbolica, è solo l’espressione del quotidiano. I corpi, vestiti o nudi, scattanti, sudati e combattivi, o materia di carezze, amori e moine, sembrano trasmettere un’energia senza entropia, tutta rivolta a potenziare le persone e la comunità. Il corpo non è, come nel pensiero ascetico-mistico cristiano, il fardello del quale liberarsi  ma la materia da sviluppare e potenziare sulla quale poggiare lo sviluppo “spirituale”. I gesti, inconsueti e rituali, come leccare i piatti fino a ripulirili del tutto, o correnti, come dar da mangiare ai bambini, trasmettono serenità.

Eppure la realtà che si sviluppa e che il film ci mostra è una realtà in movimento, instabile, tremula di lotte interiori e di conflitti, mediata da una disciplina piena di risvolti, complessa. E’ questa una caratteristica di questo e di tutti i film di Pedicini, una specificità, non facile da acquisire, del suo cinema: trasferire allo spettatore le dinamiche della realtà, la sua dialettica, piuttosto che i suoi momenti fossilizzati dalla foto del pensiero logico.

Mi fermo qui. Non è il caso di raccontare il film. E’ meglio che sia visto (destino proprio del cinema), e che serva da specchio davanti al quale ogni spettatore si rifletta.

Un’appendice: durante la sua permanenza alla Scuola Zelig Pedicini realizza altri due lavori disponibili e da vedere:

“Mio sovversivo amore”, colore, 22′, 2009: un bel lavoro dove la Drag King Kaiser interpreta nel teatro e nella vita reale Julius, compagno nel teatro e nella vita di Mistress Kyrahm, ambienti porpora, teatralità ed intimità, realtà e finzione, transizioni del corpo, bondage e shibari, sesso e amore…

“My Marlboro City”, colore, 50′, 2009: originale e buon lavoro autobiografico, ambientato nella periferia di Brindisi, sua città natale, nel Quartere Paradiso, tra contrabbandieri di Marlboro, carcerati, ragazzi e ragazze, referenti del quartiere. “Bisogna essere nati tra le sigarette, bisogna avere vissuto tra queste strade per amarle così tanto e per volerle abbandonare per sempre”.

Dopo aver visto con grande piacere i film di Valentina Pedicini  non posso che confermare quanto avevo accennato nel testo precedente (Valentina Pedicini (1978 – 2020) – In memoriam, 1) riguardo la specificità della sua intera opera:

Tutti i film  di Pedicini evidenziano il senso di comunità : ognuno  e  tutti  insieme sono il frutto di una rete coesiva che crea appartenenza e fedeltà, che salda, lungo tempi e spazi diversi, in un unicum inscindibile identità personali, amicizie, progetti umani, vicende private o pubbliche, e che sfocia in “una storia solidale e comune”. I processi amministrativi, l’organizzazione operativa, l’ambiente e il percorso di elaborazione di ogni film sono permeati da una fratellanza, o una sorellanza, che aiuta a convivere e a fare un tipo di cinema indipendente e cooperativo altrimenti impossibile. Questo modo di fare cinema costituisce quindi un’alternativa sostenibile e resiliente, un’alternativa sociale ed economica alle correnti dominanti del mercato.

Ognuno dei film di Pedicini e tutti insieme evidenziano un visione consapevole della realtà che che non fugge verso l’Utopia o il manicheismo, che non si sofferma sui  valori assoluti, i punti fermi, i principi, le apparenze, la dimensione fossile; ma che indugia sulle dinamiche, sui continui movimenti della struttura profonda, sulla realtà come transizione, in continua trasformazione di una situazione in un’altra in rapporto alle forze in gioco. Una visione che riconosce il conflitto e i limiti, anche dolorosi, del vivere ma proprio per questo in grado di generare speranza e volontà di cambiamento. Il cinema di Pedicini  è quindi un cinema dialettico e quindi politico e militante.

Ma anche per i soggetti che tratta, per il modo formale di trattarli, per la presenza di un filo conduttore che li unifica nella loro evidente diversità, ogni film e l’insieme dell’opera di Pedicini evidenzia la sua specificità:  è, il suo, un cinema sempre periferico, che si muove nei territori di frontiera con la normatività; transizionale, che si situa e situa lo spettatore fuori delle proprie zone di comfort, un cinema quindi ispirazionale, pregnante in senso sociologico, psicologico, etico.

Sì, l’ho detto prima, a Valentina Pedicini io avrei dedicato una o più recensioni e tutto il mio entusiasmo anche se non fosse morta. E anche se non fosse morta così giovane. Questo quindi non è solo un necrologio. Non deve esserlo. A Valentina Pedicini, morta troppo giovane, in memoriam.

Paco Domene