Verso le comunità energetiche

Il nostro cammino verso le comunità energetiche ha fatto qualche progresso. Era iniziato il 20 novembre 2020 quando, in un incontro organizzato da AEG con la partecipazione dei ragazzi di FFF, del circolo Legambiente e del Kyoto Club, siamo partiti. Obiettivo dichiarato: decarbonizzare il nostro territorio.

Parlare oggi di energia vuol dire parlare di minimizzazione degli effetti della crisi climatica azzerando l’immissione di gas che causano il riscaldamento globale. Siamo già in piena crisi, basta andare in montagna e guardare i nostri ghiacciai o osservare che la quota a cui finiscono gli alberi è già salita. Quindi occorre essere efficaci e fare in fretta.

Coerente con quanto AEG espresse a novembre, il 15 gennaio, occasione in cui ha presentato il suo piano industriale 2021-23, la cooperativa ha dichiarato di volersi affiancare ai soci che decidessero di migliorare le prestazioni energetiche delle loro case mettendo a disposizione competenze e credito. Inoltre il presidente Andrea Ardissone ha manifestato l’intenzione di trasformare la cooperativa in un produttore e distributore di energia da fonti rinnovabili attraverso ingenti investimenti e di adoperarsi affinché sorgano delle comunità energetiche rinnovabili.
Mentre l’AEG ha già iniziato l’attività finalizzata all’efficientamento edilizio, il Laboratorio Civico Ivrea e alcune esperienze eporediesi di cittadinanza attiva propongono una riflessione comune su Economia circolare e comunità resilienti (sabato 30 gennaio, on line). Tema vasto che ha molti fattori, tra questi non possiamo trascurare la produzione e il consumo dell’energia, per gli impatti evidenti che ha nella nostra vita.
Anche quello dell’energia può essere visto come un processo di trasformazione: oggi per lo più, estraiamo dal pianeta il petrolio o, più in generale, degli idrocarburi, che attaverso dei processi di raffinazione e trasformazione, diventano benzina, gasolio o metano che bruciamo per muoverci o per scaldarci, piuttosto che generare energia elettrica per gli elettrodomestici, i computer eccetera.
La combustione, oltre all’energia, ci consegna anche i suoi sottoprodotti solidi e gassosi. Questi ultimi finiscono in atmosfera e da qui l’emergenza climatica attuale.
Un’economia è circolare se riduce drasticamente le materie prime da trasformare e poi alla fine le scorie. Quindi il settore energetico oggi è tutt’altro che circolare. L’energia che consumiamo arriva per lo più dal petrolio, che ha bisogno di milioni di anni per formarsi e i prodotti della combustione sono scorie, non solo inutili ma anche dannose.
In conclusione, fare economia circolare per il settore energetico, vuol dire rinunciare a bruciare il petrolio e i suoi derivati e ricorrere, salvo rarissime eccezioni, solo alle fonti di energia rinnovabili.
E’ la transizione energetica che comporta un’approccio circolare senza scorie e da questo punto di vista il confinamento della CO2 nel sottosuolo, non sembra una soluzione percorribile.
Per realizzare la transizione energetica, occorre mettere al centro il territorio, perché le rinnovabili sono distribuite nei vari territori, ciascuno con le sue specificità in termini di disponibilità di risorse, piuttosto che patrimonio ambientale o cultura locale. E’ necessario quindi, un cambio di paradigma: passare da un sistema elettrico con grandi impianti di produzione, in cui l’offerta si adegua alla domanda, ad un sistema di generazione diffuso capace, anche, di adeguare la domanda all’offerta.
Insomma: basare il nostro sistema energetico nazionale sulle comunità energetiche.
Tuttavia, la gestione dell’energia da fonti rinnovabili differisce da quella da fonte fossile.
Facciamo un esempio, la nostra auto: andiamo dal benzinaio, riempiamo il serbatoio di energia sotto forma di benzina che consumeremo dopo, quando ne avremo bisogno per spostarci.
Per l’energia elettrica non è così, produzione e consumo devono essere contemporanei. Quindi, se a casa accendo la lavatrice, da qualche parte deve esserci qualcuno che spinge sull’acceleratore della sua centrale elettrica, per produrre anche l’energia che sta consumando il mio elettrodomestico. Se questa compensazione non avviene, il sistema va in tilt con conseguenze anche catastrofiche, come il blackout del 2003.
Tornando alle rinnovabili: solare ed eolico sono discontinue per natura e questo è un problema che si può risolvere con l’accumulo. Immaginate tutte le case con pannello fotovoltaico sul tetto e con batterie in cantina che si caricano quando in casa è tutto spento, poi l’energia accumulata è a disposizione sia della propria casa che di quelle vicine, in uno scambio in rete “peer to peer” con nodi paritari: questa è l’idea che sta alla base della comunità energetica.
L’autogestione dell’energia consente di aumentare la resilienza della comunità in quanto la comunità energetica gestisce le risorse nell’interesse delle famiglie, le decisioni sono prese localmente.
Del resto, non possiamo immaginare la nostra vita senza accesso all’energia: senza luce né riscaldamento. Da questo punto di vista l’energia, come l’acqua, va considerata un bene comune.
Quindi la comunità energetica potrebbe essere anche uno strumento per garantirne l’accesso a tutti, anche alle famiglie in difficoltà, al di là delle logiche commerciali.
Cosa dobbiamo fare in questi mesi se vogliamo davvero costruire delle comunità energetiche?
Dobbiamo documentarci, verificare quali forme di aggregazione la legge rende possibile, immaginare un futuro diverso, migliore. Se le varie forme di cittadinanza attiva presenti sul nostro territorio non se ne faranno carico, difficilmente accadrà qualcosa. E’ importante che anche gli enti locali si rendano protagonisti della transizione energetica. Ne va il futuro dei nostri figli perché, come dicono i ragazzi di Friday for Future: non esiste un pianeta B.

Mimmo Pignataro