Chiusa la campagna elettorale per le politiche, si riapre a Ivrea quella per le comunali del maggio prossimo

I tabelloni elettorali più spogli che mai sono l’immagine più eloquente della campagna elettorale per le elezioni politiche nazionali appena conclusa. Tutta gestita, come accade ormai da anni, attraverso TV e internet e pochissimo sul piano locale: solo qualche aperitivo e/o cena elettorale, volantinaggi in città e ai mercati, comparsate dei candidati qui e là e pochissimi incontri pubblici (a Ivrea soltanto di PD, Potere al Popolo, M5S e Liberi e Uguali).

E, immancabilmente, come accade ormai da almeno un quarto di secolo, i giudizi sulla campagna elettorale appena conclusa, fanno a gara nel definire l’ultima in ordine di tempo la più brutta mai vista. la meno appassionata e partecipata, la più carica di promesse impossibili e di paure alimentate ad arte e così via.
Forse è solo un vezzo degli “osservatori” o, più probabilmente, è l’inevitabile progressivo decadimento di una politica ridotta (da tempo, appunto) per lo più a mero marketing elettorale. Una politica tutta concentrata a riscuotere il maggior numero di schede elettorali con il segno sul proprio simbolo, tanto da aver ormai convinto i più che quella sia “la politica” (un segno tracciato ogni tot anni con una matita su una scheda elettorale) e non, anche e soprattutto, le scelte che ciascuno fa o non fa nei luoghi della vita quotidiana e nelle relazioni con gli altri, nel lavoro o nella scuola, nella città o nel paese.
Ed è proprio questa “politica vera” (quella delle scelte di ciascuno e di tutti) che mostra da tempo di essere debole, sporadica, frammentata, non in grado di dare risposta adeguata ai disastri sociali, ambientali e alla convivenza civile provocati dal dominio della finanza globale. Una risposta necessaria per immaginare un futuro diverso da quello che si preannuncia come un moderno Medioevo (tecnologico, e per questo più terrificante). Una risposta possibile solo con una ripresa estesa del conflitto sociale per la dignità del lavoro, la sanità pubblica e universale, la scuola e la cultura. Per cominciare a invertire un processo di disuguaglianze crescenti che in meno di 20 anni, in Italia, ha ridotto dal 60% al 45% la quota di ricchezza detenuta dal 90% della popolazione, mentre l’1% delle classi agiate ha già superato il 20% della ricchezza nazionale.
Non saranno certamente le elezioni di domenica ad avviare questa inversione, anche perché le principali forze politiche, tutte preoccupate di accreditarsi come “garanti della stabilità” (cioè a garantire al capitale finanziario internazionale di poter tranquillamente continuare ad esercitare il suo dominio anche nel nostro Paese), sono riconducibili a due sole opzioni: una, quella mainstream, tesa ad assecondare la globalizzazione finanziaria e applicare le sue “leggi” (seppur con gradazioni diverse di “ferocia sociale” a seconda del partito), l’altra a proporre un ritorno al passato, al nazionalismo (e ai virus conseguenti della xenofobia e del razzismo, con gli stessi discorsi e più o meno lo stesso percorso che circa un secolo fa portò alla nascita dei fascismi).
Per amor di verità anche in Italia è comparsa (nata dal basso, dalle lotte e dalle pratiche sociali) in questa campagna elettorale la terza opzione, quella che, per dirla con uno slogan di diciassette anni fa, sostiene che “un altro mondo è possibile” e lavora per prefigurarlo. Ma, pur rappresentando l’unica vera novità di queste elezioni politiche 2018, si tratta di un’opzione oggi non paragonabile sul piano elettorale con le altre due.

Di certo domenica sera il risultato più consistente lo raccoglierà l’astensione (la sorpresa sarà se non raggiungerà il record), che, seppur motivata da rifiuto del rito elettorale o da protesta contro la “politica politicante”, risulta, nei fatti, la scelta più conformista perché non fa che assecondare la distribuzione dei seggi decisa dai voti degli altri (e pensare che questa scelta sia una forma di protesta che possa preoccupare l’establishment è veramente lunare, nel senso di abitante della luna).
Dai risultati delle diverse liste in competizione, si capirà poi quanta breccia avranno fatto nell’opinione degli elettori le promesse, le paure e le narrazioni di ciascuna. E, soprattutto, si potrà capire il contesto politico e istituzionale con il quale dovrà fare i conti chiunque lavori per sviluppare pratiche sociali e lotte per un’alternativa di società.
Qualche indicazione i risultati del 4 marzo, infine, la forniranno anche alla campagna elettorale di Ivrea per le elezioni comunali di maggio.
Una campagna elettorale iniziata già molti mesi fa, “sospesa” di fatto in questo ultimo periodo per le elezioni politiche, ma prontissima a riprendere. E la prima a riprenderla pubblicamente è l’associazione “Viviamo Ivrea” che già nella settimana prossima organizza due incontri: il primo mercoledì 7 marzo con l’Osservatorio migranti per “fare il punto su accoglienza e immigrazione”, il secondo, il 9 marzo, sulle “aggregazioni dei Comuni” con il Comitati AMI una Città .
Ma c’è da credere che presto vedremo muoversi un po’ tutti.
Al momento sono tre i candidati sindaci noti : Massimo Fresc (per il M5S), Maurizio Perinetti (per il PD) ed Elisabetta Ballurio (per una propria lista e/o per una coalizione?). Poi una coalizione di liste si stava costruendo intorno alla probabile candidatura a sindaco di Francesco Comotto, mentre ancora nulla sembra deciso dalle parti di Forza Italia e dintorni.
Ora, digerite le elezioni nazionali, sarà presto chiaro il quadro completo delle amministrative eporediesi, le prime nelle quali, dopo decenni, la carica di sindaco appare realmente contendibile e non è incredibile che la “roccaforte piddina” di Ivrea possa cadere (come peraltro è già avvenuto in occasione del referendum costituzionale esattamente 15 mesi fa).
ƒz