La povertà sta crescendo ad Ivrea

Lo studio dei dati della Caritas Diocesana eporediese rivela un territorio sempre meno ricco: nei primi quattro mesi del 2017 è già stato quasi raggiunto il numero di famiglie bisognose di tutto il 2015 e niente sembra presagire un’inversione di tendenza

Che il disagio sociale sia in crescita nessun osservatore si sognerebbe di metterlo in discussione. Anche senza avere dei dati sotto mano per verificare l’entità del fenomeno è evidente a chiunque che la recessione economica non si sia affatto fermata.
Il disagio sociale cresce, ma se a livello nazionale l’ISTAT ha reso noti i numeri, a livello locale manca una fotografia d’insieme che aiuti a far luce sulla reale situazione di povertà che va crescendo nel territorio non solo eporediese, ma anche canavesano.

Parlare con quelle realtà che quotidianamente toccano con mano la povertà è attualmente l’unico modo per capire la dimensione del fenomeno. Le Caritas Diocesane vive costantemente a contatto con famiglie in cerca di aiuto e la recente informatizzazione di alcuni loro database ha permesso di approfondire meglio alcuni numeri che erano stati presentati per la prima volta nell’ottobre 2016, fermo restando che queste informazioni non esauriscono affatto la reale dimensione del disagio sociale.

Tra il 1° gennaio e il 25 aprile 2017 risultano registrati 776 nuclei familiari, per un totale di 1945 utenti. Questi numeri vanno poi scomposti ulteriormente: sono infatti 290 i nuclei attivi (per un totale di 805 utenti attivi). È fondamentale distinguere tra utenza passiva e attiva: le famiglie attive sono quelle che hanno richiesto un tipo di sostegno o di aiuto; quelle passive sono le famiglie che risultano iscritte, ma che per varie ragioni non hanno fatto alcun tipo di richiesta (si può immaginare che quei nuclei abbiano trovato un reddito, abbiano fatto richiesta ad altri enti, come per esempio i Consorzi socio-assistenziali o abbiano trovato un modo per non portare via risorse a famiglie ben più bisognose).
Resta fermo il dato dei 776 nuclei familiari iscritti, ovvero 1945 persone coinvolte. 453 utenti risultano avere meno di 29 anni, 465 hanno un’età compresa tra i 30 e i 60 anni e solo 93 rientrano nella categoria over 60. Quest’ultimo dato non deve stupire, in quanto è facile che un anziano percepisca una pensione che, per quanto minima, lo aiuti ad arrivare a fine mese.
466 nuclei sono comunitari, mentre 310 sono extracomunitari. Il 45% sono utenti italiani (369 nuclei, 805 utenti), il 19% provengono dal Marocco (158 nuclei, 534 persone) e l’11% dalla Romania (89 nuclei, 237 utenti).

Ma dove si concentra prevalentemente la povertà ad Ivrea?

Anche in questo caso le informazioni sono solo parziali, seppur indispensabili. La ricostruzione della “geografia del disagio sociale” dal punto di vista della Caritas diventa possibile se vengono prese in considerazione le 7 parrocchie presenti sul territorio eporediese. Una famiglia con problemi economici o i cui membri non riescono a trovare lavoro è facile che si rivolga alla parrocchia geograficamente più prossima alla loro abitazione. Le tre parrocchie con il maggior numero di nuclei familiari sono: la Cattedrale, per un totale di 105 famiglie, la parrocchia del Sacro Cuore con 90 famiglie e quella di San Grato con 47 nuclei. Seguono poi San Lorenzo (33), San Giovanni (18), Torre Balfredo (16) e San Bernardo (6).
La mappatura può essere anche estesa alle parrocchie presenti fuori dal territorio eporediese. Brevemente, in ordine di importanza per nuclei familiari: Pont (90), Banchette (47), Pavone Canavese (35), Cascinette d’Ivrea (23), Borgofranco (21), Carema (19), Cuorgné (18), Strambino (18), Montalto Dora (14), Bollengo (10), Samone (10). Le altre parrocchie fuori da Ivrea hanno tutte meno di 10 nuclei.

Il rapporto 2016 della Caritas Italiana presentato l’ottobre scorso aveva messo in luce l’esistenza di un “lavoro povero”. Tendenzialmente, quando si è portati a ragionare attorno al fenomeno della povertà si presume che la causa principale sia l’assenza di un lavoro; il rapporto evidenziava, invece, come anche la qualità del lavoro e la remunerazione abbiano inciso sulla qualità della vita di intere famiglie. Per dirla in altre parole: un mondo del lavoro senza tutele genera nero e una corsa al ribasso, incidendo profondamente sulla qualità della vita delle persone.
Anche i numeri della Caritas eporediese vanno in questa direzione. Degli utenti registrati 138 dichiarano di essere occupati (con un regolare contratto di lavoro), 1185 dichiarano di essere in cerca di occupazione, 96 si dichiarano casalinghe, 85 inabili e 71 pensionati. Va precisato che si tratta di dichiarazioni, in quanto la Caritas non dispone di strumenti giuridici per verificare con assoluta certezza la situazione delle famiglie. È probabile che diversi soggetti non dichiarino lavori svolti in nero, né tanto meno altre fonti di sostentamento economico (un parente con una pensione, un convivente con un reddito…).
L’ISEE rimane l’unico strumento con il quale poter capire la situazione economica di una persona, anche se non sempre risulta efficace, in quanto l’indicatore sociale fa sempre riferimento all’anno passato (e non è detto che nell’anno in corso una persona abbia ancora un lavoro o un reddito).

C’è un ultimo dato estremamente significativo in grado di dimostrare che il territorio, arricchitosi durante l’era Olivetti, sia ora in una fase costante di impoverimento. Nel 2015 la Caritas Diocesana registrava 331 nuclei attivi, 1276 utenti e elargiva quasi esclusivamente aiuti per pagare bollette. Il 2016 ha visto aumentare il numero di famiglie bisognose: 427 sono stati i nuclei attivi, 1421 gli utenti, ma anche in questo caso solo per interventi per le bollette.
I primi mesi del 2017 (sino al 25 aprile) hanno coinvolto, come si è visto, 290 nuclei attivi, 1011 utenti e le richieste si sono estese anche per alimenti e vestiario. In soli quattro mesi si è quasi arrivati allo stesso numero di famiglie di tutto il 2015, ovvero di due soli anni fa.

Questa risulta essere la dimensione eporediese. Il dato si potrebbe estendere anche oltre i confini di Ivrea, ma l’incompletezza dei dati suggerisce di rimandare ad un altro momento il loro studio.
La situazione non è bella e il disagio aumenta. I consorzi canavesani hanno recentemente introdotto il SIA, ma trattasi di una misura sperimentale i cui riscontri sono attualmente parziali.
Il tema è ampio e si innesta perfettamente sulla mancanza di una politica di sviluppo chiara per questo territorio. Su questo, gli amministratori politici hanno una grossa responsabilità ed è più che mai urgente che si torni a parlare di lavoro, costi quel che costi.
La carità non può sostituire il compito del welfare locale.

Andrea Bertolino
con la collaborazione di Elisa Alossa e Ugo Berti