Migranti: il ruolo e l’attività dello SPRAR di Ivrea

In carico al Comune, il servizio si occupa oggi della “seconda accoglienza”. Di come funzioni e dei suoi risultati parliamo con l’assessore alle politiche sociali Augusto Vino

Augusto Vino, assessore alle politiche sociali

Dopo aver ascoltato le esperienze di Chiusano d’Asti, Ormea, Chiesanuova e Colleretto Castelnuovo e poi di Ceres e Pettinengo nell’incontro pubblico organizzato dall’Osservatorio Migranti in sala Santa Marta a Ivrea il 17 febbraio scorso, poiché anche nella Città di Ivrea è da molti anni attivo uno SPRAR (Sistema di protezione richiedenti asilo e rifugiati), abbiamo incontrato l’assessore alle politiche sociali, Augusto Vino, per conoscere le esperienze sviluppate a Ivrea.

Di chi si occupa lo SPRAR di Ivrea e quanti sono oggi inseriti in questo servizio?
Bisogna tener conto che, come noto, la prima accoglienza oggi in Italia è quella dei CAS [Centri di Accoglienza Straordinaria, ndr] gestiti dalle Prefetture. L’anno scorso la Prefettura di Torino ha fatto una convenzione con il consorzio per i servizi sociali In.Re.Te. di Ivrea per cui, nel territorio dei 51 Comuni associati, ha delegato al consorzio le funzioni di appalto e controllo della gestione dei CAS. Cosa diversa è lo SPRAR che è un servizio nazionale esistente da molti anni, che fa capo direttamente al Comune (il quale, tramite bando, incarica della gestione un operatore dell’accoglienza, a Ivrea la cooperativa MaryPoppins) e che, nell’ultimo periodo, si occupa per lo più, per un periodo di circa sei mesi, delle persone che sono passate dai CAS alle quali è stato riconosciuto il diritto d’asilo o di protezione.
Attualmente sono 29 le persone inserite nel servizio, ma tante ne sono passate in questi anni perché il servizio è attivo, con il nome di SPRAR, dal 2001, e già da un paio d’anni prima la Città di Ivrea partecipava al Progetto Nazionale Asilo, come si chiamava all’epoca. Nel 2016, quando lo SPRAR ancora era utilizzato anche per la “prima accoglienza”, su 39 persone accolte, due hanno avuto diniego di asilo e cinque erano in attesa di risposta alla fine dell’anno. Il progetto per l’approvazione o reiterazione di uno SPRAR viene presentato ogni tre anni e finanziato dallo Stato con circa 420mila euro e riceve un cofinanziamento comunale di circa 22mila euro. Il triennio in corso è partito il primo gennaio del 2017.

Diventa allora ancora più urgente per queste persone la formazione e l’avvio verso un’attività lavorativa.
Certo. E infatti all’incontro del 17 febbraio dell’Osservatorio abbiamo ascoltato le esperienze di altre realtà, ma anche qui a Ivrea, nel 2017 abbiamo attivato ben 21 tirocini lavorativi, che hanno prodotto poi sette contratti di lavoro. Sono stati 45 i tirocini avviati negli ultimi tre anni dallo SPRAR, ma, seppur con maggiori difficoltà, potrebbero essere attivati anche nei CAS. Ovviamente sono numeri piccolissimi di fronte alle dimensioni del problema, ma qualcosa si può fare e si è fatto. Per quanto riguarda le attività di istruzione, queste si incrociano con quelle dei CAS nei corsi di alfabetizzazione delle scuole elementari e medie presso i CPIA [Centri Provinciali per l’Istruzione degli Adulti, ndr] ai quali si aggiungono dieci ore settimanali di italiano organizzate dalla cooperativa. Percorsi formativi professionali sono poi quelli per la gestione del verde, di sartoria e cucina. Sono tutti percorsi che, per gli ospiti dei CAS, hanno una funzione curricolare che influisce sulla concessione del permesso umanitario, come influisce in qualche modo anche l’attività di volontariato prestata, per la quale da un paio d’anni il Comune di Ivrea ha distribuito, con cerimonia pubblica in Municipio, oltre un centinaio di attestati.

Da sinistra: Augusto Vino, Giulia Bonavolontà e Vincenzo Bergantino durante la conferenza stampa sui risultati SPRAR

C’è un tavolo di confronto tra la cooperativa che gestisce lo SPRAR e il Comune? E con le associazioni di volontariato e/o i di categoria?
Il confronto con la cooperativa è mensile, come Comune partecipiamo al tavolo di confronto con gli altri Comuni costituito dal Consorzio In.Re.Te. E c’è poi, ogni sei mesi, un confronto col servizio centrale SPRAR. Non è formalizzato invece alcun tavolo con le associazioni di volontariato (con le quali però il confronto è frequente), né con quelle di categoria. Ci sono state e ci sono però attività di incontro con la cittadinanza, attraverso il GEC [Gruppo Educazione alla Cittadinanza, ndr] del quale fanno parte anche alcuni giovani dello SPRAR, i laboratori nelle scuole con insegnanti e bambini alle elementari di Caluso e Pavone, e anche con studenti al Cena e al Gramsci di Ivrea.

Allora Ivrea non è così lontana dalle esperienze che abbiamo sentito in sala santa Marta il 17 febbraio?
Anche qui si fa qualcosa, ma quella sede era l’occasione per ascoltare le esperienze di altre realtà. In particolare mi è parsa interessante quella di Ormea, dove sono stati formati alla scuola forestale e avviati al lavoro di manutenzione boschiva alcuni ospiti dello SPRAR. C’è da dire che lì pare sia stato importante il ruolo della Fondazione Cassa Risparmio di Cuneo.
Il problema è però l’assenza di strumenti di governo della gestione delle migrazioni. Il Consiglio Comunale di Ivrea ha approvato mesi fa la proposta di legge di iniziativa popolare “Ero straniero” (che propone alcune misure come il permesso di soggiorno temporaneo per la ricerca di occupazione, la reintroduzione del sistema dello sponsor e altre misure ragionevoli), ma sono deboli le politiche di inclusione. Perché uno che è qui da tre anni, conosce l’italiano e poi?

Qualche giorno dopo questa intervista, in una conferenza stampa dell’assessore Vino insieme a Giulia Bonavolontà (presidente della cooperativa MaryPoppins che gestisce lo SPRAR) e Vincenzo Bergantino (presidente dell’associazione AUSER di Ivrea), oltre all’illustrazione del lavoro dello SPRAR eporediese, è stato presentato un progetto di cooperazione nel Benin avviato con il contributo della Città di Ivrea, per la “Casa della Cooperazione e dello sviluppo sostenibile a Natitingou”. Si tratta di un progetto, della durata di un anno, che prevede la “formazione dei giovani e il trasferimento di competenze nel settore agroalimentare”, finanziato con ottomila euro (prevalentemente dalla Regione Piemonte) con diversi partner: la ong Musco (ong locale con il compito di supervisionare il progetto), l’associazione Seniores International (per lo studio preliminare, la raccolta dei dati in itinere e lo studio finale sull’efficacia dell’intervento), la cooperativa locale Versoprobo, la Città di Ivrea e quella di Natitingou.
Si tratta di un piccolo progetto che segue precedenti interventi: in quella zona era stato attivato un microcredito ed erano stati procurati piccoli mezzi (come una macina) per cercare di spingere verso economia di autosussistenza. Il Comune di Natitingou, inoltre, ha dato in concessione gratuita un edificio abbandonato e piccole terre limitrofe da coltivare.

A cura di ƒz e Andrea Bertolino